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Il
latino botanico è essenzialmente una lingua scritta,
ma i nomi scientifici delle piante ricorrono spesso nel
discorso. Come siano pronunciati importa veramente poco,
purché suonino gradevolmente e siano capiti da
tutti gli interessati. È molto probabile che questo
si ottenga pronunciandoli in conformità delle regole
della pronuncia latina classica. Ci sono comunque molti
sistemi, in quanto si tende a pronunciare le parole latine
in analogia con le parole della propria lingua. Anche
all'interno dell'impero romano, quando il latino spodestò
le lingue originali, ognuna con sue cadenze proprie, ci
dovevano essere grandi diversità di pronuncia da
regione a regione, come appare evidente nelle lingue romanze
(spagnolo, italiano, ecc), che ne discendono.
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Così
comincia la sezione dedicata alla pronuncia nel IV capitolo
del volume 'BOTANICAL LATIN'
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Questa
mancanza di uniformità nella pronuncia indusse
Erasmus nel 1528 a pubblicare il suo De recta
Latini Graecique Sermonis Pronunciatione, dove descrive
un ambasciatore francese che alla corte dell'Imperatore
Massimiliano fece un discorso in latino 'con un accento
così gallico che gli italiani presenti pensarono
che stesse parlando in francese; un tedesco, chiamato
a replicare diede l'impressione che stesse parlando in
tedesco; un danese, che parlò per terzo avrebbe
potuto essere scozzese, tanto meravigliosamente riprodusse
l'accento scozzese'. Ciononostante le persone erano in
grado di farsi capire. Nel 1735-6 Linneo visitò
la Germania del nord, l'Olanda, l'Inghilterra e la Francia,
usando il latino come lingua franca, dato che sapeva ben
poco oltre al suo svedese natio.
Nei
paesi anglofoni sono due i metodi adottati: la pronuncia
inglese tradizionale, generalmente usata da giardinieri
e botanici, e la pronuncia accademica 'riformata'
o 'restaurata' adottata dagli studiosi di lingue
classiche, e ritenuta 'ragionevolmente vicina per approssimazione
alla pronuncia della lingua parlata dalla popolazione
colta dell'antica Roma'. Questa pronuncia accademica è
più vicina di quella inglese tradizionale alla
pronuncia generalmente adottata dagli europei continentali.
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Probabilmente,
come afferma William T. Stearn, gli europei continentali
adottano la pronuncia accademica classica, ma in Italia per
la pronuncia del latino ci sono due scuole, una che si rifà
al latino medievale, da cui la nostra lingua discende direttamente,
e che coincide con il latino ecclesiastico, l'altra che invece
ha già da qualche decennio adottato il latino 'restaurato'.
Le differenze di pronuncia più vistose tra le due scuole
riguardano la lettera 't' seguita dai dittonghi iu, ia, io,
ie, ii, e la lettera 'c'.
Nel latino restaurato Impatiens non si legge 'Impaziens',
Kentia non si legge Kenzia, la 't' dunque mantiene
il suono di 't'. E la lettera 'c' ha un suono duro anche davanti
alle vocali 'i' e 'e'.
Ma proseguendo, vedremo che in latino una parte determinante
gioca l'accento tonico.
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In
latino la pronuncia di una parola è determinata
non solo dai suoni delle singole lettere individuali,
ma anche dalla lunghezza (quantità) delle vocali,
che possono essere 'lunghe' o 'brevi', a seconda del tempo
impiegato nel pronunciarle, e la loro 'quantità'
influisce moltissimo sulla posizione dell'accento tonico.
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In
ogni dizionario di latino e in parte anche nell'esposizione
di William T. Stearn, il valore lungo o breve delle vocali
è indicato da simboli posti sopra la vocale (a somiglianza
degli accenti gravi o acuti: una lineetta per indicare che la
vocale è lunga, un archetto con le estremità rivolte
verso l'alto per indicare che la vocale è breve). Questi
simboli non sono disponibili nel sistema di videoscrittura di
questo programma. Per facilitare la comprensione ho trascritto
la vocale lunga in colore rosso e la vocale breve in colore
verde. Nel testo di W.T. Stearn la divisione delle sillabe
si confoma alla grammatica inglese; poiché questo non
è di nessun interesse per lo sviluppo del discorso, per
facilitare la lettura, ho usato la divisione prevista dalla
grammatica italiana. Per esempio la parola magnus in
inglese si divide (e si legge conseguentemente) mag-nus.
Più ostico è capire la differenza nella parola
'cotoneaster'... forse un inglese potrebbe leggere 'cotonister'
(ea = ii)... Ma
andiamo avanti con Stearn.
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Le
parole che contengono più di una vocale o dittonghi
(cioè due vocali pronunciate con una sola emissione
di voce) sono divise in sillabe. Così al-bus,
ple-nus, ma-gnus, ecc. sono bisillabe. L'accento
tonico, indicato dal segno ', nelle parole bisillabe
cade sulla prima sillaba.
In latino si pronuncia ogni vocale, perciò co-to-ne-a-ster
e non co-to-nea-ster. Lo stesso vale per il suffisso
greco latinizzato -o-i-des (e non -oi-des)
che sta a significare 'come', avente la forma di.
Gran
parte delle parole sono polisillabe (al-bi-dus,
ple-ni-flo-rus, ma-gni-fo-li-us, ros-ma-ri-ni-for-mis,
o-phi-o-glos-so-i-des, Co-stan-ti-no-po-li-ta-nus,
ecc.).
Nelle
parole polisillabiche del latino classico l'accento cade:
- sulla penultima sillaba quando questa sillaba è
lunga (cioè quando finisce in una vocale lunga
o con un dittongo (for-mo'-sus),
o quando due consonanti disgiungono le due ultime vocali
(cru-en'-tus)
- sulla terzultima sillaba quando la penultima è
una sillaba breve (flo'-ri-dus,
la-ti-fo'-li-us,
sil-va'-ti-cus).
I dittonghi sono considerati vocali lunghe. Comunque,
quando due vocali si trovano unite in una parola latina
senza formare un dittongo, la prima vocale è breve
(car'-ne-us). Questo
non si applica nelle parole di origine greca, quindi gi-gan-te'-us.
Anche il suffisso -inus ha una pronuncia variabile.
In talune parole la 'i' è lunga (al-pi'-nus),
mentre in altre, di origine greca di solito è breve,
come se-ro'-ti-nus,
bom-by'-ci-nus,
hy-a-cin'-thi-nus.
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In latino non esiste la distinzione tra parole piane, sdrucciole o bisdrucciole, l'accento tonico è determinato esclusivamente dalla lunghezza delle sillabe, e per saperlo bisogna consultare il dizionario latino.
A
questo punto della lettura tutti abbiamo rivolto un pensiero
alle ortensie! Dunque finalmente sappiamo che la pronuncia corretta è Hydrange'a, visto che è una parola di
origine greca, mentre Bougainvillea, che non è di origine greca, fa Bougainvil'lea (come car'neus). Io, prendendo esempio dai francesi, italianizzo quando e quanto possibile, per cui scrivo buganvillea, lagerstremia, ecc. Perché complicarsi la vita?
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Le
regole sopraccitate si applicano sia alla pronuncia latina
accademica riformata che a quella tradizionale inglese.
La pronuncia del latino ecclesiastico, invece, si basa
sulla pronuncia italiana moderna. La c, per esempio,
di fronte alle vocali i ed e è
dolce, mentre nella pronuncia accademica riformata è
dura (dunque Cicero nel primo caso e Kikero
nel secondo).
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E ora siamo tutti contenti, sia quelli della scuola del
latino restaurato sia gli altri, visto che si trovano in buona
e numerosa compagnia (con l'aggiunta dei prelati inglesi)! Comunque...
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Qualunque
sistema venga adottato, il vocabolo avrà un suono
migliore, e sarà meno contestato dagli studiosi,
se si osserverà la necessaria distinzione tra vocali
lunghe e brevi e se l'accento tonico verrà posto
correttamente, secondo la procedura latina classica. A
questo scopo è utile fare riferimento a un dizionario
di latino come il C. T. Lewis & C. Short, o
a un manuale di botanica come il 'Manual of Botany'
di M.L. Fernand, Gray (8^ ed., 1950), ponendo molta
attenzione all'uso dell'accento tonico.
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Naturalmente
il consiglio vale per i lettori inglesi. Io personalmente uso
il Castiglioni Mariotti, non perché lo trovi il
migliore dizionario di latino, ma semplicemente perché
lo possiedo da prima di interessarmi alla botanica. Non sono
riuscita a procurarmi il Manual of Botany di M.L.
Fernand; per le mie ricerche ho utilizzato Plant Names
Simplified di A.T. Johnson & H.A. Smith e
Gardener's Latin di Bill Neal e Vox Latina di
W. Sidney Allen. Non sempre concordano sull'uso dell'accento
tonico. E prima di leggere Stearn ero confusa e perplessa. Ora
so invece cerco di regolarmi... almeno sui nomi di origine latina
e greca, perché...
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Queste
regole non possono essere applicate soddisfacentemente
a tutti i nomi generici e gli attributi specifici che
commemorano delle persone. Circa l'80% dei nomi generici
e il 30% degli attributi specifici vengono da lingue diverse
dal latino e dal greco. Non esiste una regola semplice
e costante per la loro pronuncia, perché i diversi
popoli usano le stesse lettere per suoni diversi e lettere
diverse per gli stessi suoni. Il cz del polacco
corrisponde al ch inglese e al c dolce italiano,
mentre il ch inglese non è lo stesso del
ch francese o del ch italiano. Nella maggior
parte dei casi, con i nomi che commemorano delle persone
il metodo migliore è di conformare la loro pronuncia
nella misura del possibile alla pronuncia di origine del
nome, ovviamento col suffisso latinizzato.
Un nome così impervio come Warszewiczella
si pronuncerà eufonicamente Var-sce-vi-cel'-la
e non nell'improponibile Wars-zew-ic-zell-a. La
prima difficoltà di questo approccio è l'attribuzione
della pronuncia tedesca a Heuchera, francese a
Choisya, scozzese a Menziesia, italiana
a cesatianus, polacca a przewalskii, ecc.
E questo è al di sopra delle forze della maggior
parte dei botanici e dei giardinieri.
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In
realtà, per noi italiani il nome Warszewiczella è
meno ostico che per gli inglesi, per i quali i W si legge
U, tanto per cominciare. Non sarà di pronuncia molto
morbida, ma non ha neanche un suono che non si possa riprodurre
nella nostra lingua. Mentre quasi uno scioglilingua risulterebbe
a tutta prima la pronuncia di Choisya, dedicata a Monsieur
de Choisy: si dovrebbe leggere infatti Sciuàsia...
Tuttavia non è difficile risalire alla pronuncia
francese e dopo poco ci si abituerebbe anche allo scioglilingua.
Ma con i nomi commemorativi ci sono ben altre difficoltà:
la prima è la difficoltà di sapere a quale lingua
fare riferimento, e la seconda è di scoprirne la pronuncia.
Questo è il caso di Archibald Menzies, a cui
è dedicata la Menziesia, che si dovrebbe, secondo
queste premesse, leggere Minisia (e chi di noi lo capirebbe?),
e così via. Immaginiamoci di commemorare nomi lituani,
spagnoli, catalani, gallesi, bretoni, argentini, albanesi, ungheresi,
egiziani, arabi, portoghesi... e immagino che molto presto dovremo
confrontarci coi nomi giapponesi e cinesi. Ma questo è
un mal di testa futuro.
Secondo
me, la soluzione più sensata, per noi italiani, è
quella di pronunciare tutti i nomi secondo la pronuncia latina,
classica o restaurata che sia. In fin dei conti, nel passato
illustrissimi personaggi modificavano il loro nome in latino,
a cominciare da Linnaeus medesimo, il cui vero nome era
von Linné (una bella miscianza di tedesco e francese...
per essere il sant'uomo svedese!). E se mai dovessimo avvalerci
del latino botanico con degli stranieri... esiste sempre la
scrittura o la compitazione (capite meglio se dico 'spelling'?
immagino con dolore di sì).
Ma
le difficoltà non finiscono qui:
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Anche
i suffissi -ii o iae della maggior parte
degli attributi commemorativi di persone creano difficoltà,
se vogliamo applicare rigorosamente le regole dell'accento
tonico, poiché l'accento andrebbe a cadere sulla
sillaba che precede il suffisso -ii o iae,
diversamente da dove per lo più andrebbe a cadere
nella corretta pronuncia del nome della persona che si
è inteso commemorare.
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Visto
che siamo gli eredi diretti del latino, non complichiamoci inutilmente
la vita, ma invece onoriamoci di usare ancora la lingua degli
antichi padri, di sicuro non faremo torto a nessuno. E per finire:
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In
taluni lavori si usa il segno della dieresi (¨) sopra
la seconda delle due vocali vicine, quando rappresentino
due suoni, come p.e. in Aizoön, Aloë, Cephaëlis
Caënopteris, dsoëtes, -oïdes, e non un
unico suono come in Arisæma, Cæspitosus, Cæsar,
in cui invece, quando possibile, è meglio usare
i logotipi (æ invece di ae).
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Amen!
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