FRUTTI
COPIOSI, MA AMARISSIMI...
Se i frutti dell'ippocastàno fossero dolci e mangerecci come
quelli del "più nostrano" castagno la concorrenza
sarebbe a dir poco sleale. L'ippocastàno infattii produce
frutti in misura copiosa, si adatta a vivere anche ad altitudini
inferiori
a quelle scelte dal castagno, ha ricci che si aprono con
grande facilità e che vanno incontro ad una rapida
e totale marcescenza riducendo così al minimo l'intervento
di pulizia, cresce rapidamente, e, se si eccettua la problematica
sanitaria dell'ultimo anno, non è afflitto da patologie
importanti come quelle del cancro corticale e del mal dell'inchiostro.
I frutti dell'ippocastàno invece sono amarissimi e il
loro impiego nell'alimentazione umana, anche per la presenza
di alcuni composti indesiderati, non è mai stato
nemmeno tentato.
IL RICCIO IL FRUTTO, LA CASTAGNA IL SEME
Per chiarezza anche se ci riferiremo alla castagna amara
come ad un frutto si tratta in realtà di un seme, il frutto è costituito
dal riccio nella sua interezza.
Il frutto dell'ippocastàno ricorda quello della castagna
dolce perché si tratta pur sempre di un riccio anche
se questo ha spine rade di non grande consistenza al momento
della cascola
quando si presenta ancora verde.
IL RICCIO
Le spine dei ricci caduti acquistano di consistenza e divengono "legnose" se
il clima è secco, ma con l'arrivo delle piogge autunnali
il riccio si decompone assai velocemente e non lascia quasi
tracce l'anno successivo. Il riccio è in realtà una
capsula triloculare di forma non perfettamente sferica
deiscente a maturazione. Ogni loculo può contenere 1
o 2 semi, ma non sempre tutti i loculi riescono a produrre
seme
e così il riccio si può presentare anche
con sole due valve anziché le tre classicamente
previste.
LA CASTAGNA
II seme è una castagna dalla buccia sottile e lucida,
in tutti i toni del marrone e del bruno con possibili venature,
fortemente adesa alla polpa e difficilmente separabile
dalla cuticola. Il seme presenta due grossi cotiledoni
non subito distinguibili al momento della sbucciatura
e di difficile separazione. La base della castagna è formata
da un ampio ilo di colore più chiaro.
UN SEME CON GRANDE ENERGIA
Al momento della sbucciatura del seme vi colpirà sicuramente
l'impressione di forza che già allo stato ancora
quiescente emana. Molto ben sviluppato è, infatti, il
germoglio radicale che si affonderà nel terreno.
I semi, diffusi o seminati in autunno, germinano a primavera
e si mantengono vitali per non più di sei mesi.
Per conservare i semi da porre successivamente a dimora basta
imitare la natura e quindi ricopriteli con un generoso strato
di foglie. Prima di metterli a dimora osservate che non siano
diventati di aspetto polveroso, che non si presentino
maleodoranti, e, nel dubbio, sezionatene qualcuno per
verificare che la polpa non si presenti di colore scuro inequivocabile
segno di ammuffimento e alterazione profonda.
LA STORIA DEL NOME
Importata come pianta da parco l'ippocastàno non poteva però non
attrarre per i suoi frutti così piacevoli al tatto e
lucidi, a volte ricchi di arabescature quasi fossero rivestiti
di un sottile foglio di radica, così ricchi e pieni,
così pronti a mettere radici.
Il Mattioli chiarisce l'origine del nome della pianta proprio
facendolo risalire ai frutti; scriveva, infatti, "Chiamansi
a Costantinopoli castagne cavalline per giovar elle ai cavalli
bolsi e che tossiscono date loro a mangiare."
Oggi però non esiste più alcun legame fra le
castagne amare e il mondo degli equini.
NELL'INDUSTRIA
Dai semi dell'ippocastàno si può ricavare amido
o fecola (un seme fresco ne contiene oltre il 15%), colla,
alcool,
olio per l'industria cosmetica ed in particolar modo per la
fabbricazione di saponi. I ricci possono essere impiegati
come materiale tannico.
LE
VIRTÙ CURATIVE
IN PASSATO...
L'ippocastàno non può vantare in erboristeria un uso
antichissimo, data la sua recente introduzione in Europa,
e quindi non ricorreremo ai soliti nomi "padri di tutte
le cure".
A diffondere l'uso di questa pianta fu Giovanni Girolamo Zanichelli,
speziale vissuto a Venezia fra 1600 e 1700, che lo consigliava
come rimedio per l'emicrania e le febbri ricorrenti. Campana
scriveva che "la scorza d'ippocastàno si è creduta
valevole quanto la China per le febbri; pure non è da
trascurarsi,
e si deve scegliere la scorza dei rami non troppo giovani,
né troppo vecchi."
Presto però l'uso dell'ippocastàno cadde nel dimenticatoio
e soltanto agli inizi dell'800 l'interesse riprese con la scoperta
e l'isolamento dei principi attivi ad azione vasoprotettiva.
Il chimico Francesco Canzoneri riusciva a isolare dai frutti
una massa informe di color rosa e sapore dolciastro che battezzò col
nome di esculina, Antonio Cananeo, nel 1825 dalle pagine del "Giornale
di Farmacia e Chimica", scriveva "il tempo e
l'esperienza ci facciano apprendere l'utile che da essa si
può ricavare".
OGGI IN ERBORISTERIA
L'ippocastàno è una specie vegetale molto impiegata
nella fìtoterapia, grazie soprattutto alle proprietà vasotoniche
e vasocostrittrici che possiede, in grado di aumentare la resistenza
dei capillari e di diminuirne la permeabilità, pertanto
attiva la circolazione venosa e favorisce il ritorno venoso,
oltre a esplicare attività antiedematosa e antinfìammatoria.
Si utilizzano la corteccia dei rami, le foglie e i semi, raccolti
maturi in autunno, pelati e fatti essiccare al sole. Dalla
corteccia si estraggono due composti derivati dagli zuccheri,
l'esculina
e la frassina, un tannino e una resina, mentre dai semi si
ricava l'escina. Tutta la pianta è ricca di tannini,
saponine e glucosidi. Viene utilizzata anche come additivo
nei bagni per la sua proprietà di mantenere elastici
i vasi sanguigni e di aiutare quanti soffrono di problemi
circolatori. Si possono impiegare le foglie ridotte ad un unguento
contro le varici, le emorroidi e i geloni. Gli estratti di
ippocastàno sono utili, in generale, per contusioni,
couperose, crampi, disturbi della irrorazione venosa,
edemi ed ematomi, ulcere varicose e venose, vene varicose.
E'
indispensabile, però, usare l'ippocastàno solo
dietro prescrizione medica, e mai consumare la scorza
e la corteccia di frutti e semi, perché sono tossici
anche per i piccoli animali domestici. Considerato relativamente
pericoloso, soprattutto per i bambini, per le persone
oltre i 55 anni e per coloro che ne assumono quantità superiori
a quelle consigliate per lunghi periodi di tempo. L'ippocastàno,
sia bianco sia rosso, è compreso fra i fiori di Bach.
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L'IPPOCASTANO
NELL'ARREDO DI PARCHI E GIARDINI
E' una specie particolarmente adatta al"arredo di giardini spaziosi e
grossi parchi dove possano usufruire di ampi spazi di terreno fresco e profondo,
mentre le condizioni climatiche delle città non ne consentono più l'inserimento
in prossimità delle strade, dei parcheggi e degli insediamenti produttivi.
Per quanto riguarda le distanze di impianto, è bene non mettere le piante
a dimora a meno di 7-8 m di distanza una dall'altra, se in gruppo, e di 10-12
m nel caso di filari.
UN
VELENO PER L'UOMO
Per l'uomo i frutti dell'ippocastàno si rivelano essere, contrariamente a quanto
accade per gli animali domestici, potenzialmente velenosi.
L'ingestione dei frutti porta a vomito e nausea, ma, in caso di alti dosaggi,
può comparire una sindrome emorragica di problematica risoluzione. |