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UNA
MANDRAGORA PER AMULETO
Testo e disegno di Libereso Guglielmi
II
nome mandragora deriva probabilmente da due parole
greche che significano "pericoloso per le mucche".
Già ai tempi di Plinio veniva usata come ottimo
anestetico: prima delle operazioni si dava ai paziente un
pezzo di mandragora da masticare insieme alla pervinca. Apulus,
nel suo "Herbarium", dice che in piccole
dosi si usava contro i casi maniacali.
Conosciuta dagli Arabi come "mela di Satana",
in passato è sempre stata oggetto di strane superstizioni,
sia nell'Europa meridionale che nel Levante. Secondo gli erboristi
medioevali è governata dal pianeta Mercurio. Il botanico
Turner la descrive nel suo "New Herbal",
stampato nel 1562.
In Inghilterra, al tempo di Enrico VIII. Con la sua radice
si facevano piccole immagini per raffigurare un uomo - si
usavano grani di miglio per gli occhi - e si riteneva che
queste immagini, chiamate "puppettes" o "mammettes",
avessero forti poteri magici. Secondo le cronache del tempo,
le signore per bene, specialmente quelle italiane, pagavano
sino a 30 ducati d'oro per questi amuleti. In mancanza della
mandragora, spesso si utilizzava la radice della comune Bryonia,
una rampicante spontanea.
Nel periodo elisabettiano era uso comune legare la radice
di mandragora ad una fune e farla sradicare da un cane per
non sentire il grido delle radici al momento di essere estratte
dal terreno. Si riteneva infatti che quell'urlo avrebbe
provocato la morte dell'uomo che estraeva la pianta.
Dopo aver coltivato due mandragore nel giardino delle erbe
dell'Università di Farmacia di Londra, ho cominciato
ad amare questa solanacea dalla copiosa fioritura e dal passato
misterioso, che ne fa una delle piante più menzionate
nelle leggende di magia, di stregoneria, di superstizione
e misteri. I suoi frutti, dal sapore dolce acidulo, mi toglievano
la sete nelle calde giornate estive. Al momento della maturazione
il suo profumo di ananas e banane riempiva l'angolo del giardino
dove i frutti, simili a pomodori tondi riuniti al centro delle
foglie che facevano corona, attiravano l'attenzione per il
colore giallo paglierino.
Solo oggi, però, dopo averla vista in un diverso habitat,
ho riconosciuto la sua parte migliore: la resistenza, il potere
di crescere in un ambiente avverso ad ogni tipo di vegetazione.
Nei pressi di Agrigento, in un clima terribilmente arido dopo
mesi e mesi di siccità, ho visto le sue corolle rispecchiare
il blu violaceo del cielo, sola tra le pietre e i resti di
un lontano passato, su di un suolo rosso bruciato che dava
risalto al verde smeraldo delle sue ampie foglie.
Unici compagni, in lontananza, un gruppo di asfodeli slanciavano
verso il cielo le lunghe e forti spighe di corolle bianche,
abbarbicati con le forti radici fascicolate in queste terre
aride.
Nei miei vagabondaggi in Sicilia, visitando la piana di Selinunte,
dove i resti dei grandiosi templi quasi si specchiano nel
mare, fra agavi dalle svettanti e sinuose foglie blu acciaio,
opuntie e terebinto giganti, ho visto le ampie corolle della
Mandragora officinalis var. autumnalis, bellissima
nella sua semplicità, e così forte da poter
rompere l'aridità di un suolo malvagio con la forza
racchiusa nelle grandi radici umanizzate nei secoli dalla
storia.
Mi sono chinato per osservarla meglio, per ringraziarla ancora
una volta di offrirmi la sua volontà di vita nella
luce accecante del Sud. Questa grande gioia di vivere quasi
nell'impossibile dovrebbe essere premiata, facendocela amica,
offrendole un angolo del nostro giardino, una parte del nostro
amore. Sono sicuro che saprebbe ricompensarci con la sua parte
più bella.
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La
mandragora può essere propagata per divisione
di corona o per seme, che sarà interrato
durante l'estate in contenitori conservati in cassone
freddo e mantenuti puliti dalle erbacce.
Il terriccio dovrà essere leggero e ben drenato.
La semina estiva, fatta utilizzando semi raccolti
appena il frutto è maturo, è più
sicura per una buona riuscita rispetto alla semina
primaverile.
Dopo la comparsa delle piantine nella primavera
successiva, occorre bagnarle per tutta l'estate
e tenerle pulite dalle erbacce. Alla fine di agosto
si estrarranno le piantine con molta cautela per
non rovinare l'apparato radicale molto delicato
e si pianteranno nel luogo dove dovranno rimanere.
Il suolo deve essere leggero, permeabile e profondo,
per consentire alle radici di svilupparsi a piacere.
Se il terreno è troppo umido e privo di drenaggio,
le piante marciranno durante l'inverno. Se invece
è troppo calcareo e ghiaioso, la crescita
sarà lenta. Se il terreno è buono
e non si disturbano le piante, in pochi anni i cespi
cresceranno vigorosi e produrranno grandi quantità
di fiori. |
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