A
PORTO MARGHERA TORNANO GLI AIRONI
di
Gaia Giuliani (Il Venerdì di Repubblica, 8 settembre 2006)
Usando la fitodepurazione le piante riparano i danni provocati
dall'uomo
A fare
il bagno in quell'acqua si diventava biondi - raccontava
Gianfranco Bettin tempo fa - in mezzo a rane fosforescenti,
onde gorgoglianti non si sa bene perché, con i tubi
di lampade al neon che se immersi si accendevano da soli. Un
po' ciacole, molto l'inquinamento. Di Porto Marghera, il complesso
petrolchimico in crisi che sta infiammando Venezia con dismissioni
industriali e autogestioni operaie. E che ha avvelenato per
anni le acque con le produzioni del ciclo del cloro, con il
fosgene che ogni tanto si incendiava, lo stesso gas che spruzzavano
sulle trincee durante la Prima guerra mondiale, arma chimica
d'antan, senza antidoti. A Fusina, ultimo lembo del polo industriale,
c'era un alluminificio.
I
pesci, spariti, un isolotto di fango proprio di fronte. Tonnellate
di melma raccolte dai rii della Serenissima e dai
suoli industriali, stivati là, imbrigliati da piloni
di legno e diaframmi fino a raggiungere un'estensione di 144
ettari, quasi tre quarti del Lido. Poi la produzione si è bloccata,
gli operai a casa, abbandonati capannoni e silos. Finché la
desolazione degli stabilimenti in rovina ha cominciato a picchiettarsi
di rosa, con qualche pinna a increspare l'acqua.
"Erano
tornati gli aironi, le garzette dalle grandi ali bianche,
le orchidee
selvagge. Nessun paradiso naturalistico beninteso,
semmai una chance." Giancarlo Carnevale, docente di composizione
architettonica allo Iuav di Venezia, li ha visti volare,
appollaiarsi tra i ruderi di cemento. «Il sito si stava
naturalizzando spontaneamente nonostante il degrado ambientale
provocato dagli
scarichi», ancora da sanare per carità, su cui
intervenire. Ma questa volta senza turbine, senza quei ronzii
che si sentivano quando facevi una passeggiata: il lavorio
delle centrali che inquinava anche le orecchie».
Assieme
ai suoi studenti Carnevale ha progettato un intervento di ripulitura
tra terraferma e laguna senza impianti, ma "impiantando" quella
flora che da sola, filtro biologico galleggiante, mangerà gli
agenti tossici riversati sott'acqua. L'isola di fango - cassa
di colmata in gergo tecnico - verrà riplasmata in parco
naturale usando la fitodepurazione, una tecnica messa
a punto negli anni Settanta nei paesi nordeuropei, che fa lavorare
le
piante al posto delle macchine, per rimediare ai guasti provocati
dalle macchine. Nell'acqua salata che bagna Fusina fluttueranno
radici in grado di creare dei microrganismi capaci di assorbire
i metalli rilasciati dall'alluminificio, "un sistema
economico, sostenibile, con costi di manutenzione bassissimi
che aiuterà anche a ricostituire l'habitat naturale:
le zanzare ad esempio appendono le loro uova alle radici delle
piante acquatiche. Un piatto appetitoso per alcune specie di
pesci e anfibi - spiega Carnevale - che così potremo
reintrodurre con successo". Scartando gli alligatori
però, che un collaboratore aveva proposto di liberare
sull'esempio di un intervento analogo realizzato in Florida,
dove li hanno utilizzati per neutralizzare zanzare e parassiti,
a Venezia basta il leone.
I
lavori dureranno parecchio, dieci anni, forse più.
Il varo era previsto per il luglio scorso, ma c'è stato
qualche problema con la comunità locale: ha i nervi
ancora scoperti per i cassaintegrati dell'alluminificio, il
ruolo di pattumiera svolto per decenni. E paura. Ora però ha
capito che dal letame nasceranno i fiori come cantava De André.
La cassa di colmata subirà una metamorfosi profonda
diventando un parco acquatico su più livelli, coniugando
asciutto e bagnato con specchi d'acqua inframmezzati da lingue
di terra percorribili.
I
bacini più ampi ospiteranno piccoli isolotti, che
verranno fatti affiorare dall'acqua per essere raggiunti tramite
passerelle lignee, un modo per diversificare le percezioni
del paesaggio offrendo una varietà di prospettive. Alcuni
padiglioni serviranno come zone di ristoro, piccoli musei naturali,
punti d'informazione per i visitatori con le attrezzature necessarie
per accogliere convegni, dibattiti.
Più in
là, se tutto va bene, c'è il progetto
di creare anche una "città dell'immagine",
un polo scolastico che formerà grafici, fotografi, figure
professionali per cui il Nordest adesso è costretto
a rivolgersi a Milano. L'unica cosa che non toccheranno è il
perimetro dell'area che resterà così com'è,
quelli che tumulavano i fanghi forse non se non sono accorti "ma
sembra proprio un aquilone".