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A
Roma, nei pressi del Colosseo, un gruppo
di lecci segna il luogo in cui si ergeva
la colossale statua dedicata al dio Elio,
voluta da Nerone
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II
grande albero associato al monumento, la vegetazione,
sospendono la dimensione temporale del monumento,
o almeno la estendono, la dilatano. Perché avviene
questo? Perché al brano di vegetazione, l'uomo
assegna un senso di sacralità e di collegamento
con l'ultraterreno; il grande albero è l'emblema
di una trascendenza che rompe i vincoli di tempo
e luogo, per tendere ad una dimensione superiore:
quella spirituale. Non è del resto difficile
comprendere perché l'uomo riconosca proprio
negli alberi una sorta di paradigma della sacralità e
del collegamento fra il mondo terreno e l'empireo,
il mondo superiore. Le radici dell'albero affondano
nella terra, mentre le sue chiome si alzano fino
al cielo, l'acqua attinta dalla terra è la
sua linfa, ma è dai raggi solari, dalla luce
celeste che nascono le sue foglie e i suoi frutti.
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Cos'è un
monumento? E' un'opera d'arte, un manufatto architettonico,
scolpito, dipinto, che per il suo pregio estetico,
storico, artistico, morale, o a causa del valore documentario
e di memoria che rappresenta, è sottoposto a tutela
per la sua conservazione, a particolari vincoli di legge. Ma
questo processo di identificazione, riconoscimento della qualità monumentale
in un manufatto, non è solo un procedimento amministrativo;
infatti, è soprattutto un processo culturale di assegnazione
di significato, che opera nei confronti del monumento una sorta
di trasformazione.
VALORE DI TESTIMONIANZA
Se in origine il manufatto ha, potremmo dire, una sua carta
di identità e uno scopo preciso, vale a dire una data
di nascita e una funzione specifica, nel momento della sua
designazione a monumento, l'oggetto trascende la sua funzione
originaria; assume un valore di testimonianza, il cui messaggio
si ritiene debba essere trasmesso nel tempo. Non è un
caso che quando si riconosce ad una costruzione o a qualsiasi
altra opera il valore di monumento, i termini che per esso
entrano in gioco sono quelli di conservazione, tutela: nostro
compito verso l'opera monumentale, come normalmente si afferma, è quello
di trasmetterla ai nostri figli, nipoti, posteri.
E questa non è, come si potrebbe pensare, una novità della
cultura moderna. Il riconoscimento in alcune particolari opere
o ambienti, di un significato di memoria e la conseguente determinazione
della loro conservazione, è una pratica assai vecchia.
In quella sterminata metropoli che era costituita dalla Roma
antica, una città in continua trasformazione, furono
mantenuti, a ricordo delle umili origini, tanti diversi cimeli
e reperti architettonici delle epoche più arcaiche:
luoghi venerabili a cui il verde circostante conferiva un'aura
di primitiva sacralità, e persino alcuni boschetti che
dovevano ricordare l'ambiente originario in cui la città era
sorta.
Questo processo, di riconoscimento e di assegnazione di una
particolare qualità monumentale, produce una trasformazione
profonda dell'oggetto: il monumento nasce come un manufatto
che ha in origine caratteristiche analoghe a quelle di tutti
gli artefatti umani; ma tende ad una dimensione svincolata
dal tempo, che trascende e valica i limiti della funzione
e del momento storico in cui è stato creato.
Ed è appunto in questo processo di ampliamento della
dimensione temporale del monumento, che entra in gioco l'elemento
naturale: con un processo che chiama in causa la nostra ricezione
psicologica. Il grande albero associato al monumento, la vegetazione,
sospendono la dimensione temporale, o almeno la estendono,
la dilatano. Perché avviene questo? Perché al
brano di vegetazione,
l'uomo assegna un senso di sacralità e
di collegamento con l'ultraterreno; il grande albero è l'emblema
di una trascendenza che rompe i vincoli di tempo e luogo, per
tendere ad una dimensione superiore: quella spirituale. Non è del
resto difficile comprendere perché l'uomo riconosca
proprio negli alberi una sorta di paradigma della sacralità e
del collegamento fra il mondo terreno e l'empireo, il mondo
superiore. Le radici dell'albero affondano nella terra,
mentre le sue chiome si alzano fino al cielo, l'acqua attinta
dalla
terra è la sua linfa, ma è dai raggi solari,
dalla luce celeste che nascono le sue foglie e i suoi frutti.
LA
SACRALITÀ'
DELL'ALBERO
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Ai
grandi baobab sono ancora oggi riservate forme di culto
in alcune zone dell'Africa |
Sebbene
assai raramente, ancora oggi è possibile
vedere esempi di vero e diretto culto reso agli alberi;
come avviene ad esempio in alcune regioni dell'Africa, dove
ai
grandi baobab, alberi considerati sacri, sono portate
offerte rituali.
Ma non sono solo le
culture che noi giudichiamo primitive a riconoscere la sacralità dei
grandi alberi. Ad un sentimento analogo dobbiamo l'avvio
della vicenda che nel secolo scorso,
negli Stati Uniti, portò alla formazione delle
prime grandi riserve naturalistiche: i parchi nazionali.
Il taglio
indiscriminato delle grandi sequoie del territorio occidentale
del paese, effettuato da imprese private che sfruttavano
i territori boscati per fornire traversine alle nuove
ferrovie, fece sorgere un movimento di opinione rivolto
all'esaltazione
della sacralità di queste alberature. Nel 1859,
Horace Greeley, giornalista del "New York Tribune",
fu mandato
a rendersi conto del fenomeno; a proposito delle alberature
della Sierra Redwoods, area che insieme alla Yosemite
Valley raccoglieva
le più grandi foreste di sequoie degli Stati
Uniti, così scriveva:"
Le sequoie erano di straordinarie dimensioni quando Davide
danzò davanti all'arca, quando Salomone pose
le fondazioni del Tempio, quando Teseo governò ad
Atene, quando Enea sfuggì all'incendio e alla distruzione
di Troia
[e quando]
Sesostris guidò gli egizi vittoriosi nel cuore
dell'Asia".Quella
componente mitica e sacrale che era riconosciuta
alle alberature condusse alla promulgazione dello Yosemite
Act
del 1864, un decreto firmato dal presidente Abraham
Lincoln, che
limitò la Yosemite Valley ad "uso pubblico,
a luogo di soggiorno e di ricreazione", rendendolo
così,
ufficialmente, il primo parco nazionale.
LA
NATURA PER ESALTARE L'ARCHITETTURA
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Una
porzione del Mall di Washington, il grande parco
lineare posto nel cuore dell'area
monumentale della
capitale
statunitense |
Nel momento in cui un brano di natura, i grandi alberi, sono
affiancati ad una costruzione, ha luogo una sorta di slittamento
di sacralità; ecco allora, nella tradizione occidentale
(ma non solo), la presenza di spazi verdi in luoghi destinati
alla ritualità religiosa, o alla spiritualità.
Come i chiostri all'interno dei monasteri, i quali, attraverso
la composizione di vegetazione, evocano il florido e ordinato
mondo ultraterreno; o i cimiteri, i cui alti alberi di nuovo
si collegano con scenari celesti.
La medesima ricerca di uno status quasi sacrale dell'architettura,
attraverso l'affiancamento alla natura, ha trovato storicamente
applicazioni anche del tutto profane. Ne sono ad esempio
testimonianza le grandi regge, le dimore regali realizzate
in tutto l'Europa
sull'esempio e modello di Versailles: da San Pietroburgo
a Caserta. Luoghi in cui la dignità regale trovava
una sorta di conferma di sacralità appunto nella presenza
dei grandi parchi, i boschi che cingono le grandi dimore
riservate al re. Ma anche un nuovo paese che non
aveva re,
come gli Stati Uniti, scelse di configurare la capitale,
Washington, con il medesimo atteggiamento. Il progetto urbanistico
della
città, redatto nel 1791, prevedeva che i principali
edifìci pubblici si componessero intorno ad un grande
prato alberato centrale. Ed effettivamente ancora oggi Washington
ha come struttura urbana centrale un grande parco alberato
lineare: il Mall; il quale conferisce a tutti gli edifici
che lo cingono, dalla Casa Bianca alla sede del Congresso,
quell'accento particolare, di diversità e preminenza,
che appunto riconosciamo a questi edifìci. Anche nel
secolo appena passato si possono trovare esempi di ricerca
di sacralità,
o almeno eccezionalità attraverso l'utilizzo di elementi
naturali: dalle parole d'ordine del regime fascista riportate
sulle pendici montane attraverso ordinate piantagioni, alla
gigantesca scritta che a Hollywood domina la cittadella del
cinema da un colle verdeggiante.
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Allegoria
della chiesa e dei suoi santi in forma di albero
- particolare di un retablo messicano del XVII
secolo
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LA RISCOPERTA DEL MONDO ANTICO
Se è vero che appunto la composizione fra natura e architettura,
assegna a quest'ultima una caratterizzazione di particolare
venerabilità, non stupirà allora il verificare
che per la cultura occidentale moderna, la riscoperta del mondo
antico è stato sovente intimamente legata a questa coniugazione.
Quando nel Settecento ci si appassionò alla grande architettura
classica del bacino mediterraneo, che attraverso scavi e viaggi
veniva allora meglio conosciuta, l'autorità di quegli
stili architettonici arcaici che si trasmise all'arte del periodo,
fu fortemente incrementata proprio dalla suggestione delle
antiche rovine, percepite nella contaminazione con l'ambiente
naturale, la quale aumentava l'arcaica sacralità che
queste emanavano. Basti pensare a quanto avvenne in Campania,
dove i viaggiatori scoprirono i Campi Flegrei, amati senza
riserve proprio per l'eccezionale qualità delle associazioni
mitiche e storiche con la bellezza naturale, ma soprattutto
Paestum. In questo luogo, misteriosi templi si alzavano, immensamente
evocativi e vitali, in un romantico paesaggio di alberi contorti,
acquitrini e bufale. Le centinaia di descrizioni, incisioni,
acquerelli, modelli in sughero che ritraevano quel luogo straordinario
forgiarono una sensibilità, potentemente rivolta ad
associare la dignità del mondo antico, con la presenza
della natura.
Secoli dopo, lo stesso clima di incantato stupore ha accompagnato
la scoperta delle civiltà precolombiane americane, le
quali proprio dal disvelare le proprie testimonianze allacciate
profondamente all'ambiente forestale da cui sono state sommerse,
hanno tratto quel carattere di misteriosa sublimità che
ancora le connota.
LA STRAORDINARIA "PASSEGGIATA ARCHEOLOGICA"
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La
sistemazione del sito archeologico
di Paestum evoca ancora la naturalità
del
momento della sua scoperta |
Così quando lentamente si andarono affinando non solo
metodi di conoscenza e studio dei monumenti antichi, ma anche
culture di conservazione e valorizzazione, questa associazione
fra monumento e natura ha continuato a persistere, al punto
da entrare a far parte della pratica consueta di sistemazione
dei siti monumentali. Solo per citare un esempio, basti pensare
alla straordinaria "Passeggiata archeologica", costituita
a Roma dagli ultimi decenni dell'Ottocento: dove una sequenza
continua di aree archeologiche, dalla valle dei Fori alla via
Appia, sono unite in un parco lineare continuo ombreggiato
dai grandi pini.
Nelle aree archeologiche, le essenze vegetali hanno anche
fornito il materiale per vere e proprie evocazioni di parti
architettoniche
o monumenti scomparsi, secondo una pratica in uso già dagli
anni Venti del secolo scorso. Recentemente, ancora a Roma,
si è evocata con un gruppo di lecci, la presenza della
colossale statua perduta del dio Elio, fatta erigere dall'imperatore
Nerone nei pressi del sito che avrebbe poi accolto l'anfiteatro
del Colosseo; parimenti, nei pressi del Circo Massimo, un
filare di cipressi è stato recentemente piantato nel
sito esatto su cui si ergeva il Septizodium, una quinta monumentale
che
accoglieva coloro che entravano in città dalla via
Appia. In entrambi i casi le alberature sono state ritenute
l'unico
materiale idoneo a richiamare in vita il passato, compatibile
con l'eccezionale qualità, appunto la sacralità,
dei luoghi.
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Un
filare di cipressi evoca a Roma la
scomparsa quinta architettonica monumentale
del Septizodium, nei pressi del Circo
Massimo
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IL
BOSCO DI QUERCE DI GRADARA
Il bosco di querce di Gradara deve la sua qualità particolare a più ragioni.
E' in primo luogo un insieme ambientale di rilievo, un'emergenza naturalistica
che ricorda fra l'altro la diffusa presenza di macchie di quercia nel paesaggio
storico della regione Marche; ma è parimenti parte essenziale di un
contesto più ampio e complesso, a cui il bosco appartiene insieme al
castello e al borgo fortificato di Gradara.
La macchia fa parte di un ambiente che nel suo insieme, architettonico e ambientale,
evoca una storia passata, la cui testimonianza è ancora oggi trasmissibile,
proprio per la permanenza di un complesso architettonico, la cui qualità particolare è valorizzata
dalla presenza di un luogo altrettanto evocativo: il bosco.
Ecco allora che anche nel caso di Gradara, il bosco che cinge alla base la
sua rocca, venne piantato probabilmente nel secolo scorso, a sottolineare il
passaggio del luogo da architettura militare ad arcadico monumento; le querce
di Paolo e Francesca, abbracciate alle mura antiche, danno enfasi all'architettura
come al mito romantico dei due amanti.
Vale la pena di ricordare, infatti, che il borgo fortificato di Gradara è una
complessa macchina militare la quale, quando non era ancora monumento, non
tollerava affatto la presenza di alberature nelle sue vicinanze. Per ragioni
difensive, lo spazio circostante le mura urbane era sempre completamente libero
da ostruzioni di ogni sorta, cosicché non offrisse forme di protezione
agli assedianti, rispetto al fuoco difensivo. Per convincersene, basta esaminare
l'iconografia storica del borgo, come la bella veduta di Gradara, disegnata
da Francesco Mingucci e contenuta nel manoscritto da lui redatto nel 1626,
che porta il titolo di Stati Dominii Città Terre e Castella dei Serenissimi
Duchi e Principi Della Rovere. In esso il bosco di querce non compare, e il
terreno dove oggi si erge è un arativo.
II fenomeno avvenuto a Gradara, dove un bosco ha preso il luogo di uno spazio
difensivo aperto, non è isolato; le architetture militari, per la loro
particolare configurazione, hanno ovunque favorito l'introduzione del verde
al margine dell'ambiente urbano, una volta persa la funzione difensiva.
Basti pensare al singolare fenomeno del rinverdimento delle cinte murarie urbane.
In molti luoghi queste, a partire dal XVI secolo, furono rinforzate con l'aggiunta
di terrapieni interni che avevano l'unica funzione di resistere ai colpi dell'artiglieria.
Quando non si temettero più offese belliche, quei terrapieni offrirono
l'opportunità di essere rinverditi e alberati, e divennero magnifici
passeggi urbani. Quali ad esempio ci offre ancora oggi l'esempio della cinta
muraria di Lucca, con il suo parco anulare sulle mura, o a Pesaro il più modesto
ma significativo esempio degli Orti Giuli: un giardino pubblico del primo Ottocento,
realizzato sul terrapieno contenuto all'interno di un bastione delle mura cinquecentesche.
Questo bosco di Gradara, al di là del suo valore botanico intrinseco,
evoca quindi una scena ben più complessa, quella delle infinite sfaccettature
attraverso le quali l'uomo percepisce la natura: anche per questo va protetto
e conservato.
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Il
volume "le querce di Paolo e Francesca"
Relazione
presentata al Convegno "Le querce di Paolo e Francesca" -Tutela
e valorizazione degli alberi monumentali.
Aspetti tecnici
e normativi.
Gli Atti sono stati pubblicati nelle "Esercitazioni
dell'Accademia Agraria in Pesaro" e comprendono
i seguenti titoli:
• La tutela degli alberi monumentali: il quadro normativo e gli obiettivi gestionali;
•Il
monitoraggio delle querce della Rocca di Gradara: metodologia,
risultati ed indicazioni applicative;
• Monumento e natura;
• Alberi monumentali e paesaggio;
•La
tutela della flora nella legislazione marchigiana;
• Gli alberi autoctoni nelle Marche e la loro utilizzazione
a scopo ornamentale;
• Gli alberi monumentali
nel comune di Fano.
II volume può essere richiesto a:
Accademia Agraria in Pesaro, via Mazza 9, 61100 Pesaro
Tel/Fax 0721.64232 - E-mail: accademia.agraria@libero.it
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* L'Autore è docente
della Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno, Università degli
Studi di Camerino
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