ADDIO A IPPOLITO PIZZETTI,
L'architetto dei giardini e delle idee

di Carlo Bertelli (Corriere della Sera, 17 agosto 2007)



Scompare una personalità singolare, divisa tra interessi filosofici e amore per i balconi fioriti

Ippolito Pizzetti l'avrebbe portato via il vento, gracile e leggero com'era. Magari quel vento che batteva sulla terrazza della sua casa presso Ponte Milvio. Anche il suo corpo, negli ultimi tempi, esprimeva una delicatezza settecentesca. Era nato con la musica ed aveva trascorso la giovinezza nell'ambiente internazionale del padre, il celebre lldebrando. Aveva parlato il tedesco prima dell'italiano. Eppure in patria era noto soprattutto tra la cerchia di quanti precocemente avevano avvertito l'importanza di conoscere e difendere il paesaggio.

Quando lo invitai a tenere una lezione all'Accademia di Architettura di Mendrisio, mi sorprese la sua grande popolarità. Prima della lezione dovette rilasciare tante interviste da stremarlo. Per anni aveva tenuto alla radio della Svizzera italiana conversazioni di successo, alternando spunti di letteratura ad amabili consigli di giardinaggio e di balconi fioriti. Un'idea delle sue virtù di garbato comunicatore e osservalore lucidissimo delle trasformazioni sociali, si può ricavare dal piccolo volume, Naturale inclinazione, che raccoglie i suoi i interventi su «Golem», una rivista online. Ma i lettori meno giovani ricorderanno le sue rubriche sul «Corriere della Sera» e sull'«Espresso».

II tema che trattò a Mendrisio era un approdo importante della sua riflessione. Lo preoccupava la relazione del giardino con l'identità del luogo. Perché, chiedeva, gli eucalipti sulle nostre coste?

Il mio primo incontro con Ippolito Pizzetti fu quando era assistente di Natalino Sapegno all'Università di Roma. Ancora non aveva scoperto la sua vocazione profonda, che fu quella di dedicarsi interamente, ma con grande dispersione di energie, allo studio storico del giardino e alla creazione di nuovi giardini. Le sue idee sono sparse in libri di piccolo formato e di scarso peso: Il libro dei fiori (1968); Piccoli giardini, uscito poco dopo. Difficile, ad una lettura superficiale, rendersi conto della densità di cultura che ha dentro una scrittura apparentemente svagata. Fondato nella cultura tedesca, Ippolito Pizzetti sapeva bene come il giardino potesse incarnare un pensiero. Non a caso il giardino reale di Hannover è stato disegnato da Leibnitz. Non lo sorprendeva il disagio di Rousseau di fronte al giardino del suo tempo, che il filosofo ginevrino trovava addirittura diseducativo per la presenza delle statue lascive degli dei. Eppure non era un purista come gli improvvisati architetti paesaggisti. Il giardino era il luogo delle convergenze dell'Oriente e dell'Occidente. Così era stato quando gli inglesi tradussero nella loro terra l'idea cinese di un giardino apparentemente naturale, così fu quando gli olandesi, da una parte, e i papi e i Medici, dall'altra, si sforzarono a importare e acclimatare le piante esotiche. E così negli scritti di Ippolito Pizzetti un fiore è guardato con la meraviglia della prima scoperta, goduto nella sua sensuale bellezza, ritrovato nelle sue ascendenze mitologiche greche e latine, ma con la dedizione di un poeta cinese. Sembrerà, dunque, che il professore a contratto della facoltà di Architettura dell'Università di Ferrara (questo era il suo ultimo impegno pubblico, dopo una vita al di fuori delle carriere accademiche) inducesse gli allievi a frequentare innocue piacevolezze. In realtà non fu cosi.

Ricordo una passeggiata con lui lungo il viale di una città veneta. Dimostrò come fosse stata sbagliata la scelta degli alberi, quali fossero malati e perché. Era verde pubblico, e un vero fervore ecologico sosteneva la moralità degli studi di Pizzetti. La sua idea di giardino privato corrispondeva singolarmente al programma didattico di uno dei grandi direttori di museo tedeschi dell'Ottocento, Littwach, di Amburgo, che si spese a rivalutare la fotografia spontanea contro quella di studio, e il giardino non convenzionale contro la sua realizzazione piccolo borghese.
« Creare un giardino - ha scritto - è creare un'opera d'arte di cui tutti possono essere capaci. Basta avere spirito di osservazione e passione. Molto importante è imparare a osservare l'opera della natura, a notare le associazioni spontanee, ad apprezzare l'armonia». Un'arte di corte era proposta come un arte democratica a tutti accessibile. Ma quanta sapienza è necessaria per rispondere ai requisiti richiesti! Negli anni aveva raccolto un'eccezionale biblioteca di botanica e di arte di giardino, con testi rari e introvabili, senza dubbio la maggiore videoteca specializzata italiana, da affiancare a quella di Dumbarton Oaks negli Stati Uniti. Ne fece dono alla Fondazione Benetton - Studi e Ricerche, dando con questo gesto un contributo fondamentale a questa branca di studi, uno strumento importante per affiancare la cultura paesaggistica di progettisti, amministratori della cosa pubblica, come di chi voglia trovare nella storia dell'estetica del giardino, dai babilonesi ai romani dagli arabi al nostro Rinascimento, il senso profondo delle età passate.