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L’eccezionale
patrimonio botanico del roseto " Carla
Fineschi" di
Cavriglia è stato scientificamente catalogato
e i risultati sono stati pubblicati in un sontuoso
volume. A Elena Costa, curatrice del libro
insieme ad Elena Accati, abbiamo chiesto
di parlarcene.
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E' recentemente uscita per i tipi dell'editore torinese Umberto
Allemandi & C. l'opera Theatrum Rosarum.
Le rose antiche e moderne (volume rilegato in cofanetto,
336 pagine, 510 illustrazioni a colori e 31 in bianco e nero
+ 4885
fotografie a colori nel DVD-CD Rom allegato, 150 euro). Curato
da Elena Accati ed Elena Costa,
il libro è un autentico
splendore per l'apparato illustrativo e la sontuosa veste grafica,
ma si segnala altresì per il rigore scientifico dei
contenuti. Il meraviglioso mondo delle rose è qui descritto
in tutte le sue sfaccettature, con approfonditi rimandi
alla storia e alla letteratura. Theatrum
Rosarum cataloga per
la prima volta il famoso roseto privato "Carla Fineschi" di
Cavriglia, in provincia di Arezzo, che comprende oltre 5.500
rose antiche e moderne, come Carlo Pejrone rileva nella sua
Prefazione, "può diventare un generoso
amico da consultare, da godere, da studiare".
Particolarmente incuriositi per l'aspetto innovativo della
ricerca che ne è stata l'origine, abbiamo intervistato
Elena Costa, dottore di ricerca presso l'Università degli
Studi di Torino, dipartimento di Agronomia, Selvicoltura
e Gestione del Territorio.
Theatrum
Rosarum è un'opera di grande impatto visivo - ed è ciò che
forse colpisce immediatamente il lettore - ma è anche
e soprattutto il risultato di una ricerca molto impegnativa
e che ha avuto una lunga gestazione. Com'è nato il
progetto?
Il
libro nasce da uno studio effettuato dal Dipartimento di
Agronomia,
Selvicoltura e Gestione del territorio della
Facoltà di Agraria dell'Università di Torino,
su progetto del Consiglio Nazionale delle Ricerche. La
ricerca, durata quattro anni, è stata avviata perché ci
si è resi conto dell'importanza del germoplasma che
viene conservato presso il roseto di Cavriglia, nell'Aretino.
Si tratta, infatti, del più importante roseto a
livello mondiale, tanto è vero che l'American Rose Society
(organo di riferimento ufficiale per la registrazione delle
nuove varietà) nelle sue pubblicazioni vi fa sistematicamente
riferimento.
Sorprendentemente, a tanta notorietà all'estero,
non ha corrisposto fino ad oggi in Italia un'adeguata conoscenza.
Ed è proprio perché si è compresa la preziosità di
questo bene, la biodiversità presente in questo roseto,
che si è voluto procedere con una ricerca specifica.
Molte rose conservate in questo roseto sono presenti
solo lì e non sono rinvenibili in altri parchi, in altre
collezioni: si tratta davvero di esemplari unici, pazientemente
raccolti dal professor Gianfranco Fineschi, fondatore e curatore
del Roseto Botanico di Cavriglia, che ha iniziato questa raccolta
per passione. E la medesima passione sta alla base della
genesi del volume, che ha coinvolto tantissime persone del
Dipartimento di Agraria, Selvicoltura e Gestione del territorio
dell'Università di Torino.
L'editore Allemandi, che
ha scoperto, grazie a un articolo, l’esistenza di
questo roseto e del nostro studio, ha poi deciso una veste
grafica e ufficiale a tutto il lavoro.
I fondi per realizzare la ricerca sono stati inizialmente
erogati dal CNR e poi, in corso d'opera, si sono aggiunte le
risorse della Provincia di Torino che, nella persona di Valter
Giuliano, allora assessore alla Cultura, Protezione della natura,
Parchi e Aree protette, hanno permesso di portarla a termine.
Al libro, hanno collaborato moltissime persone, semplici appassionati,
ibridatori come Andrea Mansuino, notissimo nel settore. Per
non parlare, ovviamente, della professoressa Elena Accati,
autrice di moltissimi libri sulle rose, o del professor Paolo
Pejrone, notissimo paesaggista,che ha contribuito
con molti spunti e consigli a livello informale, ma sempre
preziosi.
Che
genere di difficoltà avete incontrato nel
realizzare una catalogaziene scientifica, del genere Rosa?
La problematica è correlata al fatto che le descrizioni
che si ritrovano, sia in vari libri recenti sia analizzando
la bibliografia storica, risultano spesso molto vaghe
e soggettive. "Colore rosso, molto bello", naturalmente
sono mille le sfumature di rosso possibili. Quindi il
nostro lavoro è stato quello di rendere oggettivo
ciò che prima era semplicemente un'indicazione
soggettiva. Si è operato, innanzitutto, da un'analisi
bibliografica per comprendere quali erano i parametri discriminanti
per distinguere una specie dall'altra o una cultivar dall'altra.
Sono state prese in considerazione le schede della UPOV (Union
Internationale pour la Protection des Obtentions Végétales),
con delle indicazioni di misura.
Per quanto riguarda le indicazioni di colore siamo ricorsi
alle tavole colorimetriche della Royal Horticultural Society.
E, a partire da questi parametri, siamo andati via
via nel dettaglio, per garantire la massima precisione.
Infatti, nel volume, prima di ogni scheda, c'è una legenda
che riporta come è stato effettuato il lavoro di catalogazione.
Ad esempio, laddove si riporta l'indicazione "aculei
disposti fitti" è perché c'era un certo
numero di aculei all'interno di un centimetro di fusto, in
questo modo una volta acquisita tutta la schedatura diviene
poi facile attribuire un nome a un individuo sconosciuto, ripetendo
il processo di identificazione. Tutta questa esigenza di precisione
deriva anche dal fatto che la tassonomia del genere Rosa è molto
complicata e confusa. Sono tantissime le classificazioni
che sono state proposte. Quindi nella nostra ricerca si è cercato
di dare il nome appropriato alle singole piante sia utilizzando
tantissima bibliografia, sia avvalendoci di database di
riferimento universalmente riconosciuti. In particolare
per le rose antiche, è stato un lavoro tutt'altro che
semplice. Attualmente si sta procedendo ad analisi del DNA
per confermare o eventualmente smentire le attribuzioni che
erano state avanzate.
C'è oggi un rinnovato e diffuso interesse per le
rose antiche, che oltrepassa l'ambiente degli specialisti
per lambire il largo pubblico degli appassionati di floricoltura.
Quali i motivi culturali, di gusto estetico, sottostanti
a questo "ritorno di fiamma" dopo decenni di disinteresse?
Sì, da circa un decennio stiamo assistendo al ritorno
dell'attenzione sulle rose antiche. Probabilmente per due motivi.
Innanzitutto, è una questione di moda.
La rigidità delle
rose moderne non seduce più come un tempo. Oggi stiamo
assistendo al diffondersi di una più spiccata sensibilità per
forme più arrotondate, più sinuose, nel
design come nella floricoltura, perciò il particolare
portamento procombente delle rose antiche desta nuovamente
gli entusiasmi degli appassionati.
È una questione di
mutamento del gusto. Si cercano fiori che possano adattarsi
armoniosamente a un giardino in cui la natura è lasciata
più a stessa, meno schematizzata, meno irrigidita. Non
a caso stanno riscuotendo grande successo le cosiddette
rose inglesi, che fra le rose moderne sono quelle che più assomigliano
alle rose antiche. Anche nostri più noti ibridatori,
ad esempio Barni, vanno proprio a ricercare le caratteristiche
tipiche delle rose moderne, ad esempio la resistenza alle malattie,
da inferire a rose che abbiamo l'aspetto delle rose antiche.
L'altro motivo di questo rinnovato interesse per le rose antiche è di
carattere scientifico, ovvero la sempre maggiore attenzione
che la comunità dei ricercatori dedica alla riscoperta
di patrimoni di germoplasma di grande valore storico-culturale.