STATUE
E SCULTURE, DA SIMBOLI A ORNAMENTI
di
Filippo Pizzoni (Gardenia, aprile 2006)
Celebrazione dell'uomo, rappresentazione della natura, sintesi
tra paesaggio e cultura
Nel corso dei secoli le statue e le sculture nei giardini hanno
via via avuto significati diversi: da mezzo di comunicazione
culturale a evocazione di mondi altri o lontani, da rappresentazione
di ricchezza e potere a espressione di un'esperienza personale
o viaggio nella fantasia. Nella cultura italiana, per esempio,
dove l'Umanesimo e il Rinascimento collocavano l'uomo
al centro del mondo e di un universo ordinato, il giardino rappresentava
una natura non solo addomesticata, ma anche dominata dalla
rappresentazione della forma umana. Nella cultura inglese,
invece, una tradizione agreste scandita dagli antichi riti
celtici e un forte legame con la terra hanno sempre guidato
verso la rappresentazione di figure zoomorfe e araldiche — leoni,
sfingi, gargoyles, cinghiali — di cui sono un meraviglioso
esempio gli animali di Enrico VIII nei giardini di Hampton
Court.
Lo stesso desiderio rinascimentale di riportare in vita l'antichità classica
si basa sul ritrovamento delle statue greche e romane provenienti
dagli scavi archeologici, testimoni dei paesaggi arcadici della
visione virgiliana, proprio come accadeva nel giardino di Villa
Medici, a Roma, costruito alla metà del Cinquecento
principalmente per esporre una ricca collezione di statue antiche.
L'esaltazione
dell'artifìcio e della meraviglia come celebrazione
del principe portarono
nel tardo Rinascimento ad accentuare la capacità di
evocazione fantastica delle statue: a Pratolino,
il giardino rinascimentale più ammirato
e copiato, troneggia ancora maestosa la colossale statua
dell'Appennino del Giambologna, alta più di 10 metri,
dagli occhi di vetro e parzialmente ricoperta da stalattiti
artificiali,
che
ospitava nelle diverse stanze ricavate al suo interno automi
e fontane. Era l'epoca in cui ingegnosi meccanismi
idraulici azionavano ogni sorta di meraviglia: divinità che
suonavano strumenti, uccelli canterini, rami di corallo zampillanti,
impertinenti e improvvisi getti d'acqua sull'ignaro ospite,
vasche e fontane multicolori.
La meraviglia lascia il posto all'arcano e al mistero nel Sacro
Bosco di Bomarzo, dove in una fitta boscaglia
di querce e pini, come d'incanto, appaiono alla vista enormi
figure scolpite
nei massi erratici di peperino rovinati dal monte: una
selva
di sculture, un tempo colorate — mostri, giganti,
sirene e semidei — creano, in apparente disordine,
un mondo dalla natura selvaggia e misteriosa, che
l'uomo sembra non riuscire più a controllare.
Ancora
nei primi anni del Settecento, con la rivoluzione paesaggistica
inglese, le statue conservano il loro ruolo
iconografico nei giardini di William Kent,
composti come un quadro: tra sfondi e quinte naturali si
incontravano personaggi, le statue, disposti
a creare scene quasi fossero tappe di un percorso letterario,
carichi di simbolismi e citazioni classiche.
Ma la moda paesaggistica si andava evolvendo verso
una rappresentazione di una Natura
meno condizionata dall'uomo, per un ritorno a boschi
e paesaggi non più "...addobbati e nascosti dalle vane ostentazioni
dell'arte...".
La scultura nei giardini ritornerà solo nella seconda
metà dell'Ottocento, ormai svuotata da ogni
simbolismo, con il solo scopo di ornamento, se non in
rari casi e di solito come espressione di bizzarre fantasie.
Il Novecento applica all'ornamentalità delle statue
un nuovo concetto, che maggiormente si allinea
alle conquiste dell'arte moderna: talvolta più prettamente
estetiche, talaltra mutuando
dall'arte stessa la capacità di stimolare
riflessioni ed emozioni particolari,
dove cioè i
manufatti scultorei definiscono i giardini come
spazi dell'anima e come
paesaggio assoluto. E assoluti sono gli spazi che costruisce Geoffrey
Jellicoe a Sutton Place, dove
grandezza e intimità trovano
grande armonia nella composizione degli elementi
scultorei con la natura. Giardini che affermano la tensione
verso
un primordiale paradiso silenzioso
e intimo, individuale, personale e profondamente
radicato nella natura
del luogo, composto di
pochissimi elementi definiti con decisione, dove
il risultato è spesso
un linguaggio del tutto personale, dove statue
e sculture, antiche o contemporanee che siano,
diventano
massima
espressione di quella sintesi tra paesaggio
e cultura che
auspica e alla quale tende la nostra epoca.
PARCHI
DI SCULTURE |
|
La
riscoperta del giardino come veicolo di comunicazione
artistica ha dato vita dagli anni Cinquanta
a numerosi parchi di sculture, alcuni dedicati interamente
a un singolo artista, come a Brancusi in
Romania o a Henry Moore in Inghilterra,
oppure pensati per ospitare collezioni esistenti, come
l'Abby Aldrich Rockfeller Sculpture Garden del
Moma di New York, realizzato tra i primi, nel 1955.
Più recentemente molti giardini sono stati pensati
insieme alle opere che avrebbero dovuto contenere,
come è avvenuto per molte collezioni private,
tra cui, una tra le prime e più importanti,
la Fondation Maeght a Saint-Paul-de-Vence
in Provenza, (tel. +33 (0) 4 93 32 81 63), dove sono
state inserite opere di Mirò, Braque
e Giacometti.
|