PIANTE, FIORI, ALBERI: VIA UNO SU DIECI

intervista a Livio Poldini, professore emerito presso l'Università di Trieste

di Luciano Comida (Konrad n. 139, settembre 2008)

Professore, le devo confessare subito una cosa.

E Livio Poldini, settantotto anni, professore emerito, già professore ordinario di Ecologia Vegetale all'Università di Trieste, autore di più di trecento pubblicazioni scientifiche, uno dei più importanti botanici italiani, mi guarda dietro la sua corta barbetta da amante della montagna.

Professore, quando mia moglie mi manda in orto a prendere qualcosa, deve darmi istruzioni molto dettagliate, perché io sono ignorantissimo in materia di piante e rischio di portar in casa cicuta invece di prezzemolo.
Siamo nello studio di Poldini, una piccola stanza piena di libri e di documenti all'Istituto di Botanica. Lui brandisce due fogli fitti di cifre: L'opinione pubblica è scarsamente informata e io vorrei parlare di cose importanti. Cose che pochi ascoltano perché si tratta di argomenti non fotogenici, non appetibili da una stampa che banalizza i problemi, ripetendoli male e inquinandoli con l'incompetenza. Ai lettori di Konrad non voglio dare chiacchiere ma dati.

Per esempio?
Il Carso ha una grandissima ricchezza di specie vegetali, circa millequattrocento. Ma lei sa cos'è avvenuto nell'ultimo secolo?

No.
Sono sparite centotrentatrè specie, una su dieci.

E questa orripilante sparizione di specie vegetali, cosa significa in concreto?
Dobbiamo fare alcuni passi indietro. Se no rischiamo di comportarci come in quelle interviste volanti. Dove si pretende che uno studioso condensi tutto in venti secondi. E non si capisce niente.

Cominciamo dall'inizio, allora. Lei, professore, quand'era piccolo cosa voleva diventare da grande?
Con l'età della ragione, sette/otto anni, ero già fortemente attratto dai fenomeni naturali. E alcuni libri... ricordo quelli di Fabre... furono decisivi per spingermi in quella direzione. In particolare uno che mi regalò mia zia maestra. "Storia del ceppo" edito da Sonzogno. E avevo una grande simpatia per l'agricoltura, mediazione tra uomo e natura.

I suoi primi ricordi da naturalista?
Una villeggiatura... che bella parola che era, riferita ai villaggi... a Monte Auremiano, immerso con i miei genitori nei boschi. Mi emozionò molto.

Un altro?
In Trentino, Val di Fassa, fui catturato dalla maestosità del paesaggio alpino. Poldini si tocca la barbetta: sa perché la montagna è cosi affascinante?

Perché si vede tutto dall'alto.
Anche. Ma ci sono altri elementi: un grandissimo livello di selvatichezza, dovuto alla scarsa penetrazione umana. E soprattutto la straordinaria sintesi di elementi vegetali: c'è una spettacolare concentrazione di informazioni geologiche e biologiche dato che le montagne sono un riassunto di quello che si vedrebbe su grandi distanze. Salendo una vetta si fa, in verticale, lo stesso percorso che si farebbe andando dal caldo Mediterraneo al freddo Polo. Una miniera di informazioni e di emozioni.

E' la seconda o terza volta che usa la parola emozioni...
Senza passione non si va da nessuna parte. E non si può trasmettere nessun sapere.

Che studi ha fatto?
Mi iscrissi ad Agraria a Padova. Ma presto scappai via, inorridito dall'impostazione economicista e predatoria, lontanissima dai miei interessi biologici e organicisti. lo ho nostalgia per la vecchia agricoltura, intesa come strumento di gestione del territorio. Nel mondo, in Europa, bisogna recuperare la dimensione rurale del paesaggio.

Per paesaggio cosa intende?
Non certo una natura idilliaca e incontaminata che non esiste, soprattutto qui da noi. Il paesaggio è l'insieme di storia millenaria, cultura, attività antropica, agricoltura, vegetazione: la cornice organizzata della biodiversità. Ma noi lo stiamo distruggendo con il cemento, le monoculture, i giganteschi cartelloni pubblicitari che infestano questo preziosissimo patrimonio. Quando cominciò, questo disastro della distruzione del paesaggio e della tradizionale agricoltura? Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Nel momento in cui irruppero i fertilizzanti chimici che spezzarono la straordinaria alleanza che esisteva in precendenza.

Che allenza?
Quella tra zootecnia e produzioni vegetali. Prima dei fertilizzanti chimici, gli animali da pascolo e da allevamento restituivano alla natura ciò che consumavano, in una catena fertile e millenaria. Con i concimi chimici, ciò non accade più: gli animali mangiano cose innaturali, le loro deiezioni sono eccessive e dannose. In più, i fertilizzanti chimici hanno abbassato la fertilità biologica dei terreni, portando a uno scadimento della qualità degli alimenti prodotti.

I concimi di sintesi furono una sciagura...
lo non li criminalizzerei cosi semplicisticamente: in quella fase storica servirono ad aumentare la produzione alimentare, sfamando milioni di persone. Ma quel periodo deve venir superato perché, come sappiamo bene, ogni soluzione costituisce la premessa di un altro problema.

Sovrappopolazione, riscaldamento del pianeta, globalizzazione predatoria, crisi energetica...
... tutela del territorio e delle biodiversità. Sono tutti problemi strettamente correlati l'uno con l'altro. E invece troppo spesso i mass media li trattano separatamente, perdendo di vista la complessità dello scenario e di tutti gli elementi che lo compongono.

In questo quadro, che ruolo ha un botanico?
In realtà, la parola 'botanico'... che pure è molto bella.. è assai generica e significa poco. Un po' come dire "vado dal medico": bisogna capire se devo rivolgermi a un dentista oppure a un ortopedico. Analogamente, la botanica moderna comprende campi molto diversificati, che vanno dalle indagini biochimiche all'ecologia vegetale.

Che è il suo campo.
Per capirne il significato, bisogna chiarire due termini: flora e vegetazione. Lei conosce la loro differenza?

Sinceramente, no.
La flora è un concetto astratto che comprende le specie vegetali prese una per una, indipendentemente dai loro rapporti. Ci sono eccezionali testi del passato che studiano e catalogano la ricchezza della flora. Per le nostre zone, basti pensare a formidabili opere di fine Ottocento: La flora a Trieste e de' suoi dintorni realizzata da Marchesetti. Oppure Flora des ósterreichischen Kùstenlandes di Pospichal. Invece la vegetazione è l'organizzazione della flora in adattamento alle diverse situazioni ambientali.

Si potrebbe dire che la vegetazione è la sociologia della flora?
Sarebbe una definizione azzardata ma abbastanza chiara.

E come sono la flora e la vegetazione di queste zone?
Noi siamo appennino-balcanici. Nel senso che da noi vivono molte specie vegetali illiriche, alcune delle quali esistono anche sull'Appennino. I primi elementi di identità di un territorio non sono certo le etnie o quelle fesserie che portano alla xenofobia: un territorio è identificato innanzitutto dalle sue specie vegetali, che hanno dietro di sé una lunghissima storia. E ci dicono tutto sul clima, sulla qualità del suolo e dell'aria e dell'acqua, sulle trasformazioni ad opera dell'uomo.

Un indicatore...
Adesso vanno molto di moda gli indici... il consumo di latte pro capite, il costo del petrolio, quanti libri si leggono all'anno...assai pochi a dire il vero. Un indice rende abbastanza evidente un problema.

E allora lo stato della vegetazione è un importante indice ambientale.
Qua volevo arrivare. La qualità dell'ambiente può essere valutata analizzando le specie vegetali: esse ci danno risposte fortemente attendibili.

Ed è questo il suo lavoro?
In parte sì. Perché chi governa per davvero le biodiversità sono le specie vegetali.

Dopo aver consultato le piante, come stanno il Friuli-Venezia Giulia e il Carso?
Malissimo. Guardiamo i disastri in Amazzonia ma ci dimentichiamo che una catastrofe ce l'abbiamo sotto gli occhi. Tanto che, come le dicevo prima, in pochi decenni un decimo delle nostre specie vegetali si è estinto.

Ma questo lo vedremo la prossima puntata, assieme ad altri temi: una vegetazione come accetta l'arrivo di "piante immigrate"? Il pericolo degli organismi geneticamente modificati. La situazione ambientale della nostra regione. Come se la cavano in ambiente le amministrazioni pubbliche? Se continuiamo cosi, dove finiremo? Quali sono i tre provvedimenti più urgenti da prendere?