È utile
per gli alberi? E per l’uomo?
Il mondo è pieno di alberi senza potature. La natura
ha prosperato rigogliosa, dominando il territorio mondiale,
senza problemi e paure, fino agli ultimi decenni del 1800. È ben vero che gli interventi dell'uomo
sull'ambiente si manifestano da oltre 20 secoli, ma senza
stravolgimenti.
Solo da qualche secolo si può affermare che essi abbiano
assunto carattere di irreversibilità e sempre più accentuandosi
con l'avvento di grandi mezzi e sofisticate tecnologie. Ma
da fine '800 dicevo, l'uomo ha pensato di essere pronto per
prendere in mano le redini del mondo e quindi anche della
natura che di questo nostro mondo, dobbiamo ribadirlo con
forza, è elemento fondamentale, insostituibile. Natura
produttrice di vita e uomo saccheggiatore. I risultati si
vedono. Stanno sparendo le foreste e sono "alti lai" quelli
degli ambientalisti nostrani per le foreste dell'Amazzonia
e del Borneo. Sfruttamento scriteriato e miope che fa abbattere
quotidianamente migliaia di ettari di foresta, deprecabile
anche se lontano da noi. Non ricordano però, gli ambientalisti,
forse perché poco informati sui fatti di casa nostra,
che un tempo non lontano, esistevano in Italia ventidue milioni
di ettari di foresta vergine, che ammantavano la nostra Patria
per due terzi del suo territorio. Arrivati al terzo millennio,
gli ettari di foresta vergine italiana sono poco o niente.
E anche chiamare bosco quanto rimasto sembra una forzatura.
Facciamo scorrere velocemente il pensiero sul verde italico
in generale. Le Alpi con i grandi impianti di abeti rossi
(ammalati) pini, larici, faggi tutti perfetti, quasi uguali
che non si possono chiamare boschi; sono parchi artificiali,
in quote alte fin che si vuole, ma è monocoltura.
E' noto che la monocoltura sfrutta, quando non esaurisce,
la fertilità del terreno che il bosco ha creato lungo
i secoli, e l'ambiente ne soffre. E non parliamo delle infrastrutture
come strade, laghi artificiali con centrali idroelettriche,
piste da sci ecc.
La
pianura Padana ha finito di essere foresta ai primi del
1800 e
adesso è una landa desolata dove il vento corre
libero portando con sé il finissimo ma preziosissimo humus,
perché le barriere di alberi e arbusti lungo i canali
d'irrigazione sono state eliminate per aumentare la produzione,
con pericolo di futura sterilità per le terre troppo
sfruttate, visto anche lo scarso apporto di sostanza organica.
Il letame non si può più adoperare perché inquina.
Gli Appennini sono tutto un movimento con rimboschimenti
a casaccio, frane e smottamenti con danni continui ed imprevedibili
senza che si possa pensare ad una soluzione.
Il
Sud con i problemi di siccità, i pochi rimboschimenti,
spesso con specie di piante non adatte che formano miseri
gruppi tutti uguali, i problemi lungo le coste, cemento
dappertutto. La fisionomia del nostro territorio è stata
stravolta. Clima, fertilità del terreno, sistema idrogeologìco,
ambiente naturale, tutto sottosopra. La poca attenzione,
chiamiamola incuria, dello Stato; gli interventi, ovunque
possibile, di cittadini con costruzione di muri, case, strade,
canali,
zone artigianali e industriali, cementificazione dei greti
dei fiumi, con costruzioni diverse all'intemo dei medesimi,
insediamenti agrituristici, impianti agricoli non adatti
alle coltivazioni programmate, ci hanno incanalati nel terzo
millennio.
Come si può vedere, siamo immersi in un mare di ipocrisia,
ignoranza, stupidità e in questo mare si è messa
a navigare la barchetta dalla quale si predica la potatura
degli alberi ornamentali. È la potatura modello motosega
che, in modo più appropriato, si può definire "castratura".
Questo modello di taglio è stato inventato dopo la
seconda guerra mondiale e ha preso piede rapidamente. Fino
agli anni prima della guerra, c'era molta cura per gli alberi
sia in città che fuori; nelle strade larghe si piantavano
alberi grandi, nelle strade meno larghe si piantavano alberi
proporzionati allo spazio disponibile, quando avessero raggiunto
il massimo sviluppo. Se gli alberi creavano problemi venivano
sostituiti con altri più idonei. Alberi di prima grandezza
come platani e tigli venivano utilizzati in piccoli spazi
per formare dei tendoni vegetali, ma la potatura a testucchio o
a testa di salice veniva fatta annualmente.
Lungo le strade nazionali, l'alberatura era stata piantata
per ombreggiare i viandanti e i carri a traino animale.
Tutto regolare quindi, anche perché a seguire la crescita
regolare degli alberi c'erano giardinieri competenti.
Dopo
gli anni '50 ci siamo trovati con le strade costruite per
cavalli, buoi e pecore, percorse da automobili e autocarri;
nelle città iniziava la costruzione di condomini,
lungo le strade già alberate, senza pensare a mantenere
una distanza corretta tra costruzioni e case. E nel frattempo
si continuavano a piantare, senza alcuna programmazione le
poche specie di alberi, Platanus, Aesculus, Celtis, Tilia,
Pinus, e rare altre specie che, usando un eufemismo,
potremmo dire conosciute, alle medesime distanze di sempre
(5-6 m) tra pianta e pianta, senza pensare alla
larghezza dei marciapiedi, a quella della carreggiata stradale,
all'altezza
del primo
palco di rami, alla distanza dalle case, alla presenza di
filari di alberi già piantati, alla opportunità di
non mettere alberi pubblici a ridosso di giardini privati
esistenti ecc. ecc.
Dopo qualche decennio erano ulteriormente cresciute le piante
vecchie e avevano preso forma i nuovi impianti. Strade strette
e rami che entravano dalle finestre hanno richiesto drastici
interventi. Le tecniche di prima della guerra avrebbero previsto
la sostituzione delle alberate. Nel frattempo però,
nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, di verde ornamentale
non se ne parlava più e i giardini e le piante ornamentali
erano prive di personale che le curasse con competenza e
amore. Era nata inoltre una corrente di opinione che non
ammetteva l'abbattimento di alberi e preferiva tenerli "castrati" piuttosto
che abbatterli.
Mancanza di dirigenti professionalmente validi quindi, che
imponessero i diritti della natura a essere trattata con
dignità e conseguente mancanza di giardinieri rimasti
senza istruttori validi che insegnassero loro la conoscenza
delle piante e il modo di curarle, ci hanno portato alla
realtà attuale. È una realtà codificata
e riconosciuta da libri e pubblicazioni nei quali,a volte
arrampicandosi sui vetri, si vuol dimostrare con varianti
diverse, che questa tecnica di "castratura" è regolare.
E infatti è talmente regolare che la "castratura" è identica
su alberi di tutte le specie e varietà.
Questa constatazione dovrebbe dimostrare che i tecnici che
danno l'ordine di intervenire sull'albero e gli operai che
eseguono i tagli non conoscono la specie e la varietà della
pianta su cui operano. Vediamo qualche esempio significativo.
A questo punto vediamo di riprendere il discorso con "fratello
albero" per capire le sue necessità affinchè possa
vivere decentemente nelle nostre città e lungo le
nostre strade.
È opportuno ripetere che alberi, arbusti e ogni
specie di pianta, sono esseri viventi che hanno come dimora
la terra
e quando sono stati creati hanno ricevuto in dote uno spazio
vitale sufficiente assieme ad acqua, aria e quant'altro necessario
per una vita dignitosa. Esseri viventi e come tali devono
essere trattati. Abbiamo a disposizione la fisiologia vegetale
e l'ecologia che ci aiutano a capire se il terreno e l'ambiente
in cui devono vivere e le cure a cui vogliamo sottoporli
sono più o meno favorevoli al loro sviluppo.
Ma per capire quanto sopra bisogna conoscere le piante. È il
punto dolente del problema. Conoscenza di genere, specie,
varietà, e quant'altro la scienza agraria ci insegna
per poterle trattare in maniera corretta. Solo chiamandole
per nome, potremo avere un contatto, quasi fisico, che ci
permette di capire le loro necessità e agire di conseguenza.
Proprio in riferimento alla potatura in generale ed alla
capitozzatura in particolare i problemi sono tanti.
Come si può capitozzare un albero se non si conosce
l'azione del flusso linfatico che dovrà provvedere
alla guarigione delle ferite provocate dal taglio?
Siamo consci che capitozzando, tagliamo all'albero gli organi
vitali?
Riusciamo a capire che questa operazione si ripercuote
su tutto l'apparato radicale, che non essendo più nutrito
si atrofizza e muore lentamente mettendo in crisi la stabilità della
struttura?
Sappiamo come si sviluppa l'apparato radicale
in ogni specie di pianta?
E se sì, come possiamo aiutarla a mantenere un normale stato
vegetativo, dopo la capitozzatura, specialmente in città?
... terreno, acqua, humus, concimazioni... E si può andare
avanti domandandoci:
-
Quale l'influenza delle radiazioni solari in città,
su piante "castrate" in ambiente cittadino?
-
Quali sono gli scompensi dovuti al calore?
- Quali gli scompensi
dovuti al carbonio, azoto, smog in generale e soprattutto
alla mancanza d'acqua?
E ognuno di questi fattori crea fenomeni di interdipendenza
non solo fra le piante, ma con gli animali, l'ambiente,
l'uomo. I tecnici che lavorano con le piante, devono saper
analizzare
i fattori che rendono interdipendente il sistema "essere
vivente - ambiente circostante" con il suo gioco di
molteplici e sempre mutevoli fattori ambientali, le reazioni
e gli adattamenti degli organismi e i processi che aiutano
a controllarli.
Dobbiamo essere consci che l'ambiente, con i suoi influssi,
agisce in maniera globale e continua sulla pianta, che
a sua volta, deve adottare regole di comportamento per
poter
affermare la sua diffusione e vincere la lotta per la sopravvivenza. È sicuro
che ogni tecnico, ogni persona che conosca gli alberi e
abbia le necessarie conoscenze ecologiche non
può causare
danni agli alberi, neanche con la potatura.
E' chiaro che il fine della potatura, se è proprio
necessaria, non è il danneggiamento dell'albero,
ma l'aiuto a vivere bene anche in un ambiente ostile. Un
antico
aforisma dice "un giardiniere è valido se
potando un albero ornamentale, alla fine del lavoro, può mostrare
i rami potati senza vedere il punto dove gli ha tagliati".
Questo modo di pensare mette la parola fine alla capitozzatura
e ad ogni altro tipo di potatura devastante.
Occorre il coraggio civile di dire basta all'ipocrisia
imperante.
Se l'impianto è sbagliato e necessario tagliare
e sostituire.
Curare, aiutare le piante dove possibile, ma non
a tutti i costi e ad ogni costo, perché questo modo
di fare contrasterebbe con lo spirito del la natura.