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LE CHIMERE SONO TRA NOI
Mutazioni, “sport” e chimere nei vegetali:
che cosa sono e come si originano?
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di Ugo Laneri
Presidente Ass-Agir
1° giugno 2021
1. Premessa
Per comprendere appieno quanto segue sarebbe opportuno avere qualche nozione
riguardo cellule, meristemi, genoma, cromosomi, geni, DNA, concetto
di ploidia, cellule somatiche e gameti.
Chi non ha tali nozioni, può consultare il
glossario in fondo.
2. Introduzione
Chi non ha mai osservato un fiore, una foglia o un frutto parzialmente
o totalmente diverso dagli altri sulla stessa pianta? (fig. a sinistra: Chimerismo in arancia e mela, e nei fiori di dalia e di mandevilla).
Qualcuno di noi sicuramente ha sentito parlare di
“mutazioni” e, soprattutto tra i rosaisti, della parola “sport”; meno forse del termine “chimera” (e chimerismo).
3. Le mutazioni
Il termine mutazione indica il fenomeno per cui il patrimonio genetico di una cellula
risulta diverso rispetto a quello delle altre. Le mutazioni che osserviamo consistono in
variazioni dell’aspetto, più o meno evidenti in un organismo, dovute a
cambiamenti permanenti nel patrimonio ereditario delle cellule. Le mutazioni possono
essere spontanee o indotte e avvenire a carico delle cellule del “corpo” (soma)
o di quelle germinali che formano i gameti (cellule deputate alla
riproduzione sessuale).
La parola “sport” indica, nelle piante, il risultato di una mutazione in una foglia, fiore o
frutto o habitus vegetativo, in parte o tutto il ramo di una pianta; essa può manifestarsi
come una diversità della forma, del colore, o di altre caratteristiche, come assenza di
spine (es. rovo senza spine), assenza di peluria nei frutti (es. pesca nettarina), o
crescita decisamente inusuale. Talvolta da una cultivar, ad esempio da un rovo senza spine,
si ottengono invece rami che presentano spine; si dice allora comunemente che la pianta è ritornata all’antico (il fenomeno viene spiegato nel paragrafo 8.3).
4. Le mutazioni somatiche e germinali
Una mutazione somatica è quella che avviene nel “soma” ovvero nelle cellule
somatiche (distinte dalle cellule germinali che costituiscono i gameti), che noi talvolta
osserviamo come cambiamenti visibili (di colore, forma, ecc.) nei vari organi della pianta,
cioè foglie, fiori, frutti, epidermide (per la spinescenza) ecc. ecc. Questi cambiamenti, molto
poco frequenti, vengono spiegati come conseguenza di: (i) errori che avvengono a caso,
solitamente durante la duplicazione del DNA, quando le cellule si moltiplicano nei
meristemi; mediante la mitosi quando la o le mutazioni si trasmettono alle cellule figlie
e alla loro discendenza, comunque non necessariamente alle cellule gametiche; (ii)
un “rimescolamento” di cellule somatiche nei diversi istogeni (L1, L2, L3); vedi paragrafo 8.3.
Le mutazioni somatiche sono trasmissibili solo per propagazione agamica e non per via
sessuata (non attraverso i semi). Tali mutazioni sono state utilizzate in tempi moderni
dal vivaismo sia frutticolo che ornamentale per produrre e introdurre nuove varietà.
Le mutazioni germinali, invece, avvengono in singole cellule come i gameti o nella
cellula iniziale di un embrione (lo zigote): in questo caso tutte le cellule del nuovo
organismo saranno geneticamente uguali, quindi si avrà un mutante solido. Esse
vengono ottenute sperimentalmente irradiando (o trattando con sostanze mutagene) i
pollini e gli ovuli contenuti nei fiori, nello zigote o anche nei meristemi.
Benché poco frequente, il contributo delle mutazioni germinali è stato determinante nei
millenni per la creazione della variabilità genetica degli organismi in generale e delle
piante nel nostro caso, di cui l’uomo si è avvalso per la selezione di quelle ritenute più interessanti e
utili.
5. I vari livelli delle mutazioni
Si possono avere mutazioni geniche, quando uno o più geni (le unità di DNA
codificanti un carattere ereditario) mutano. Molte di queste mutazioni non sono visibili,
per vari motivi. Ci sono inoltre mutazioni cromosomiche, in cui i cromosomi risultano
alterati (ad es. per scambio di parti tra cromosomi diversi); oppure i genomi hanno
cromosomi mancanti o sovrannumerari (es.: sindrome di Down ovvero trisomia 21, data
dalla presenza di 3 copie del cromosoma 21 - o parte di esso - nel corredo cromosomico
umano).
Infine vi sono mutazioni genomiche, riguardanti il numero di copie di un singolo
genoma aploide x; ad es. un set cromosomico ripetuto 3 volte invece di 2, come di solito:
avremo allora cellule o individui o specie triploidi (3x), come lo zafferano (Crocus sativus, a sinistra: fiori), molte banane (Musa x paradisiaca e altre), diverse cultivar di
orchidee o di tulipani, ecc. Da notare che le piante triploidi sono sterili
(non formano semi) e quindi vengono propagate vegetativamente.
Oltre che triploidi, ci sono esempi di poliploidia anche a livello
superiore: tetraploidi (4x), pentaploidi (5x), ecc. La triploidia spesso
offre dei vantaggi vegetativi, la tetraploidia porta solitamente al
gigantismo di fiori, frutti, ecc.
La poliploidia può originare dal raddoppiamento di un singolo genoma
o essere il risultato di ibridazioni; ad esempio una specie con genoma aa,
incrociata con la specie bb, potrebbe originare l’ibrido ab. Questi ibridi
solitamente non sono fertili, per cui col tempo potrebbero sparire; se
però avviene un raddoppiamento del genoma ibrido, cioè la cellula
zigotica raddoppia il proprio genoma divenendo aabb, ecco che essa può sopravvivere
essendo generalmente fertile, e costituendo quindi una nuova specie. La poliploidia si
verifica in natura, ma è stata anche prodotta artificialmente. Esempi di poliploidi
naturali sono il grano duro (aabb) e il grano tenero (aabbdd); ma anche il
tabacco (Nicotiana tabacum), la patata (Solanum tuberosum) ecc. Molti meli sono
poliploidi, e così la maggior parte di fruttiferi, ortaggi e molte piante da fiore.
6. Origine delle mutazioni
Le mutazioni sono dovute ad agenti mutageni e in parte a fattori sconosciuti che agiscono sul DNA delle cellule, come abbiamo visto, a vari livelli: genico, cromosomico,
genomico. Gli agenti mutageni possono essere fisici o chimici; tra i primi le radiazioni
ionizzanti (cioè ad alta energia, in grado di produrre ioni che possono modificare il DNA,
ad es. raggi X, raggi gamma, raggi cosmici); oppure sostanze chimiche (talvolta presenti
nell’ambiente) che ugualmente possono modificare il DNA. Questo DNA mutato, se è in
una cellula gametica, potrà essere ereditato dalla progenie; se è nelle cellule somatiche,
sarà presente solo in quel determinato individuo (a meno che artificialmente si provveda
a isolare la parte mutata).
Le mutazioni avvengono di continuo ma con una frequenza piuttosto bassa, dell’ordine di
1 su un milione di cellule, ad opera, si pensa, soprattutto dei raggi cosmici. Il DNA ha
dei sistemi efficienti di riparazione dei “danni” subiti (con efficienza diversa nelle varie
specie), tuttavia qualche danno sfugge alla riparazione, ed ecco allora verificarsi una
mutazione.
Le mutazioni sono spesso “difettive”, cioè portano alla mancanza di qualche sintesi
chimica. Come è intuitivo, esse sono tanto più frequenti, quanto più grandi o più
numerosi sono i bersagli su cui agiscono i mutageni. Consideriamo ad esempio che,
affinché una cellula formi un antociano (pigmento polifenolico che dà origine al colore
rosso/viola/blu dei fiori e talvolta dei frutti o delle foglie), devono essere sintetizzate
molecole sempre più complesse, partendo da molecole semplici, attraverso una serie di
reazioni chimiche, regolate da singoli geni, fino ad arrivare alla sintesi finale. La
mutazione difettiva di uno dei tanti geni che porterebbe, attraverso i vari passaggi, alla
sintesi dell’antociano, interrompe la catena di reazioni e quindi l’antociano non si forma.
Il bersaglio è multiplo e quindi le mutazioni che riguardano il colore dei fiori sono
relativamente frequenti. Il caso più comune è la mancanza del colore: il fiore apparirà
così bianco (“colore” dato dalla dispersione della luce nelle cellule dei petali prive di
pigmenti). Talvolta invece la mutazione porta ad un cambiamento del colore, senza
arrivare al bianco.
Per inciso, dai semi di una pianta a fiori bianchi potrebbe nascere una pianta con lo
stesso carattere. Poiché le mutazioni sono continue nel tempo e i tempi sono lunghi
(cioè le generazioni sono tante), teoricamente, questa continua immissione di mutazioni
per il colore bianco dovrebbe portare a un aumento crescente di individui con fiori
bianchi, fino ad arrivare ad avere tutta la specie con fiori bianchi. Ciò in realtà
solitamente non avviene, in parte per fattori genetici intrinseci, ma soprattutto perché
gli impollinatori impollinano preferenzialmente fiori colorati e così facendo favoriscono
selettivamente il mantenimento del colore.
Abbiamo visto che alcune mutazioni sono facilmente osservabili nelle piante da fiore,
riguardo al loro colore. Nelle rose (ma non solo) si può notare la presenza di fiori con molti petali da individui con fiori “semplici”. Ciò è dovuto a una mutazione che fa sì che
le cellule primordiali, invece di avere uno sviluppo regolare formando stami, producano
invece petali; evidentemente gli stami e i petali hanno dei geni in comune. Nelle
Rosacee gli stami sono numerosi; se tutti “si trasformano” in petali, questi saranno
molti, ma il fiore risulterà sterile almeno nella parte maschile, cioè non produrrà polline.
Un carattere genetico frutto di una mutazione è anche la rifiorenza. Già nel ‘600 erano
state trovate fragole di bosco (Fragaria vesca) rifiorenti, mentre normalmente la
fioritura avviene solo in primavera; la grande fragola coltivata Fragaria x ananassa invece è sempre rifiorente. Nelle rose la rifiorenza continua è stata osservata nelle rose
cinesi che, incrociate con le specie occidentali, hanno dato origine ai diffusi ibridi
rifiorenti, oltre a variazioni più o meno clamorose nei colori e forma dei fiori e
nell’habitus.
Si deve notare che le mutazioni spontanee sono state la base genetica della variabilità,
su cui ha agito la selezione naturale, quindi sono state essenziali nell’evoluzione degli
organismi.
7. Origine delle chimere
Come già detto, se una cellula mutata è una cellula gametica, essa potrà dare origine
a un individuo interamente mutato cioè a un “mutante”, detto anche “mutante solido”.
Se invece una delle cellule mutate è una cellula meristematica, spesso verrà formata
una parte mutata (di organo, di ramo, di pianta), ma il resto delle cellule non lo saranno.
Avremo in questo caso una situazione in cui coesistono in uno stesso individuo
cellule geneticamente diverse: questa è una chimera (nome preso dalla mitologia,
in cui si immaginava un “mostro” con corpo leonino, testa d’aquila e coda di serpente:
vedi ad es. la Chimera di Arezzo).
Molte chimere non sono stabili, anzi vengono perse nel corso dello sviluppo. Poiché però
da una porzione di pianta, tramite la propagazione vegetativa, è possibile rigenerare
una pianta intera, se noi per talea (anche ripetuta) o per
innesto isoliamo la parte mutata e da lì rigeneriamo una
pianta, ecco che avremo isolato il mutante. Più
raramente da una singola cellula mutata si potrà avere
direttamente tutto un ramo mutato o addirittura tutta la
pianta mutata. Nelle Gesneriacee come la violetta
africana Saintpaulia jonantha (a sinistra un mix di
varietà) col taleaggio da foglia si ha la rigenerazione di
una pianta da una singola cellula: ecco quindi che dopo
trattamento mutageno potremo ottenere subito piante tutte mutate, non chimeriche,
con colore o forma dei fiori diversi dall’originale.
8. La stabilità delle chimere
8.1 Gli istogeni
Bisogna qui introdurre un concetto importante. I vari organi aerei di una pianta si
sviluppano da un meristema apicale, che si presenta come una cupola di cellule. Questa
struttura, che misura intorno a un decimo di mm, è composta da strati di cellule, che si
prolungano nel fusto e nei vari organi. Si è visto che generalmente gli strati sono tre e si
comportano in modo indipendente uno dall’altro; possiamo immaginarci dei lenzuoli
sovrapposti, messi sopra una punta. Gli strati vengono chiamati istogeni (generatori di tessuti); partendo dall’esterno sono stati chiamati L1, L2 ed L3. Semplificando un po’,
lo strato L1 (più superficiale) dà origine alla cuticola e all’epidermide, lo strato L2 ai
tessuti fiorali, quindi anche ai gameti, e lo strato L3 al cilindro centrale del fusto e alle
radici.
Se ad esempio tutto lo strato L1 è mutato, questa mutazione potrà essere visibile su
tutte le superfici, l’epidermide e le strutture annesse, come ad es. gli aculei, detti
impropriamente spine, delle Rosacee come rovo e rosa: se nelle cellule di L1 è
deficiente o inattivato il gene deputato alla formazione degli aculei, essi saranno assenti,
anche se il gene è “normale” nelle cellule di L2 e L3. Talvolta però capita che qualche
nuovo ramo abbia origine solo dagli istogeni L2 e L3 (escludendo L1) ed ecco che
verranno quindi formati negli strati epidermici gli aculei; talvolta infatti si ha la
formazione di rami da uno solo o da due istogeni (vedi paragrafo 8.3).
In qualche caso si hanno piante con istogeni a diverso livello di ploidia (ad es. 2x-4x).
8.2. I vari tipi di chimere
Una cellula mutata si trova in competizione con le altre “normali”: spesso non si
moltiplica o comunque è svantaggiata, per cui la mutazione non si manifesterà. Altre
volte invece è in grado di competere con le altre e si moltiplica, concorrendo a formare
un organo come un ramo o un fiore o un frutto, quindi dando origine ad una chimera.
Le chimere possono essere: mericline (o mericlinali), settoriali e pericline (o periclinali).
Le prime sono quelle in cui solo una porzione di un istogeno è mutata; le settoriali quelle
in cui tutto un settore, che può comprendere anche tutti e tre gli istogeni, è mutato.
Infine si può avere tutto un istogeno mutato: queste sono le chimere pericline.
I primi
due tipi di chimere sono in genere instabili e col tempo di solito si perdono; il terzo tipo invece solitamente è stabile, almeno dal punto di vista vivaistico.
Chimere periclinali sono quelle in cui tutto un istogeno è mutato, come avviene nei
rovi senza spine, o nelle pesche nettarine (impropriamente “pesche noci”), in cui non è
più presente la tomentosità.
Di tale tipo sono anche le piante che presentano una distribuzione regolare di tessuti
normali e altri senza (o poca) clorofilla nelle foglie: le piante a foglia variegata, ad
es. verde con un bordo chiaro (o al contrario, bordo verde e centro chiaro). Come si
spiega tale aspetto?
Le mutazioni clorofilliane, per cui non viene sintetizzata la clorofilla, avvengono con una certa frequenza. Può capitare talvolta che tutto L2 sia clorofilla-deficiente; esso può
sopravvivere perché comunque la fotosintesi viene effettuata dalle cellule di L3, normali,
con clorofilla. Nelle foglie, strutture schiacciate e sottili, L1 forma la cuticola e
l’epidermide, che sono trasparenti; sotto c’è L2 e infine più all’interno L3. L2, visibile
nelle foglie, costituisce quella banda del margine che, essendo formata da cellule
incapaci di sintesi della clorofilla, risulterà bianca (o gialla). La parte centrale della foglia
invece sarà costituita da L3, le cui cellule esposte alla luce sintetizzano clorofilla, quindi
apparirà verde. Similmente può essere mutato L3; se esso è clorofilla-deficiente, il
centro della foglia apparirà chiaro, con il bordo verde. Anche le agavi variegate sono
delle chimere pericline.
8.3 Scomposizione/riarrangiamento delle chimere pericline
Normalmente, se effettuiamo la talea di una chimera periclina, viene mantenuta “l’architettura” dei meristemi, cioè conserviamo la chimera. Ad esempio, da una pianta
con foglie bordate di bianco, otteniamo ancora delle piante conformi, cioè con foglie
variegate.
Tuttavia, osservando tali piante nel corso della crescita, vediamo che talvolta si formano
rami praticamente bianchi ed altri totalmente verdi. Come si può spiegare tale
situazione?
In questi casi si tratta di scomposizione/riarrangiamenti degli istogeni: i rami bianchi
hanno avuto origine solo dall’istogeno L2 “deficiente per la clorofilla” (o forse da L1 e
L2), escludendo L3 “normale”; essi possono in parte svilupparsi, anche se solitamente
non con grande crescita, perché ricevono le sostanze nutritive, compresi gli zuccheri,
dal resto della pianta. Per i rami verdi, invece, si può ragionevolmente supporre che
abbiano avuto origine dallo strato L3 “normale”.
I rami verdi hanno spesso uno sviluppo maggiore, avendo foglie più efficienti nella
fotosintesi rispetto alle foglie variegate. In una cultivar variegata, quindi, è opportuno
eliminare i rami totalmente verdi (e secondariamente quelli bianchi, per non indebolire
la pianta). Talvolta vi è una diversa esigenza di luce tra le piante a foglie variegate e le
corrispondenti “normali” tutte verdi, ma ciò va verificato caso per caso, cioè
sperimentalmente, sulle varie specie.
È intuitivo che eventuali rami totalmente bianchi non potranno costituire delle varietà
tutte bianche, in quanto carenti nella fotosintesi; teoricamente si potrebbe provare a
innestarli su varietà “normali”. Nelle figure sottostanti vi sono esempi di “scomposizione”
di chimere pericline.
9. Le chimere d’innesto
Tra le curiosità vegetali incontriamo i termini bizzarria e ibrido d’innesto. Di che si
tratta?
Negli agrumi esistono delle forme in cui ci sono dei frutti e parti di piante che presentano
caratteri inusuali, tipici di due specie; da notare che spesso tale situazione non è stabile.
Nel giardino dei Panciatichi a Firenze (nel 1644, allora Villa dell’Agli) sembra che si sia
originata una di queste strane piante (definita Limon citratus aurantium), chiamata “bizzarria” (immagini a sinistra e sotto): si trattava di una forma interpretata come un ibrido
conseguente a un innesto; si pensava che le due specie diverse si fossero “ibridate”,
cioè ci fosse stata la fusione “somatica” di cellule delle due specie. Si è poi invece
stabilito che, eccezionalmente, ci può
essere la crescita simultanea dei tessuti di
due specie diverse, dopo un innesto; nel caso
particolare, l’innesto di arancio amaro
(Citrus aurantium) su cedro (Citrus
paradisi). Tra i più noti “ibridi di innesto” o
meglio, chimere da innesto, vi è il +Laburnocytisus ‘Adamii’,
derivato da Chamaecytisus purpureus (sin. Cytisus purpureus)
innestato su Laburnum anagyroides (il maggiociondolo). Noto è anche il
+Crataegomespilus (Crataegus + Mespilus). Sperimentalmente si sono ottenute
chimere di questo tipo innestando a “v” il pomodoro (Solanum lycopersicum) sull’erba
morella (S. nigrum) o viceversa: dopo formazione del callo cicatriziale, tagliando il fusto
in modo che il callo rimanente conservi parte delle due specie, vi è una certa probabilità
di ottenere chimere da innesto. Qualcosa del genere è stato anche ottenuto con innesti
di varietà diverse di Stella di Natale (Euphorbia pulcherrima).
10. Le chimere dovute a trasposoni
In alcune piante sono stati scoperti casi molto particolari di chimere la cui spiegazione
si deve agli studi, negli anni ‘50 del secolo scorso, dell’americana Barbara McClintock
(1902-1992), che ha ricevuto per ciò un premio Nobel, sia pure
tardivamente (1983). Fino ad allora si dava per scontato che il
DNA nelle cellule fosse una struttura stabile, in cui i singoli geni
erano fissati in certe posizioni. La McClintock, studiando il mais,
ha dimostrato invece che i geni possono essere mobili e produrre
effetti visibili diversi a seconda della posizione (cariossidi di
colore diverso); questi elementi trasponibili sono stati chiamati trasposoni.
Una spiegazione simile si può ipotizzare per la Bella di notte Mirabilis jalapa, in cui si
trovano su una stessa pianta, con notevole frequenza, fiori di diverso colore o fiori di
due colori o puntinati.
In altre piante da fiore come camelie, dalie e rose, si osservano effetti che richiamano
la presenza di trasposoni. Nelle rose, un certo numero di varietà presenta petali
screziati, come la famosa Rosa gallica ‘Versicolor’ (Rosa Mundi) o la ‘Variegata di Bologna’.
11. Osservazione di “sport”: che fare?
Nelle rose un altro carattere che varia facilmente è l’habitus vegetativo: con una certa
frequenza si osserva che da varietà arbustive si formano varietà sarmentose, ovvero “climbing”, le quali, propagate vegetativamente, mantengono questo nuovo carattere.
Riguardo agli “sport”, che cosa fare quando si osserva qualche differenza interessante
sul ramo di una pianta o nella crescita? È probabile che non intervenendo, tale sport
scompaia nel corso dello sviluppo; si potrebbe però, con il taleaggio o l’innesto, cercare
di isolare tale mutante e creare così una nuova cultivar.
12. Considerazioni conclusive
Si è parlato qui di differenze che si possono osservare negli organi delle piante in seguito
a mutazioni. Certe colorazioni anomale dei fiori e delle foglie potrebbero essere dovute
anche a :
- carenze nutrizionali: ricordiamo il fenomeno noto come clorosi, cioè ingiallimento
delle foglie dovuto a carenza di vari elementi tra cui il ferro, l’azoto, il magnesio, ecc.
- cause patologiche (ad es. i mosaici virali). I virus però talvolta creano effetti
esteticamente validi: nei fiori, famose sono le screziature osservate nei tulipani (ad
esempio nella varietà ‘Semper Augustus’), che sono state una delle cause della
tulipomania del XVII secolo. Inoltre ci sono diversi altri esempi: nei gerani edera (Pelargonium), notevole è la cv. ‘Rouletta’ (o ‘Harlequin’, o ‘Mexicaner’ ecc.) in cui il virus provoca la decolorazione centrale dei petali altrimenti rosso scuro, quindi con un effetto
interessante; Lonicera japonica ‘Aureoreticulata’ presenta foglie con venature chiare
(senza clorofilla) e così un altro pelargonio edera; anche la puntinatura gialla delle foglie
di Aucuba japonica e di Abutilon, sembra sia dovuta a virus.
Tutt’altra cosa è il viraggio del colore durante la maturazione del fiore. Nel presente articolo
invece parliamo di fenomeni, spesso trascurati, come le mutazioni e le chimere, che
implicano modifiche permanenti del patrimonio genetico in
almeno una parte dei tessuti della pianta.
Le chimere non sono affatto innesti (a sinistra una pianta
innestata con mirabolano rosso - Prunus cerasifera ‘Pissardii’ -, in cui si vede un ramo con foglie verdi, originato dal portainnesto), ove, tranne casi molto rari, i tessuti delle
due piante sono distinti e a contatto solo in una certa zona.
Le mutazioni e le chimere sono più frequenti di quanto si
pensi; si potrebbe scherzare dicendo che “le chimere sono tra noi”. Nel vivaismo
troviamo spesso chimere tra le piante ornamentali: quelle a foglie variegate. Qui viene
spiegato il meccanismo di questa regolare distribuzione dei tessuti.
La conclusione è che può essere interessante isolare delle mutazioni e che per
conservare le chimere è meglio conoscere qualcosa della loro origine e costituzione.
GLOSSARIO
Cellula = unità microscopica vivente di tutti gli organismi sia animali che vegetali; da
uno stato embrionale o meristematico (vedi meristema) le cellule si moltiplicano e si
differenziano in tessuti diversi, costituenti i vari organi.
Cellula gametica (o gamete) = cellula germinale, cioè deputata alla fecondazione; ha
numero di cromosomi ridotto a metà rispetto al numero diploide tipico di ogni
organismo. Ad es. nell’uomo le cellule gametiche hanno 23 cromosomi ciascuna, mentre
le cellule somatiche ne hanno 46; si dice anche che le cellule gametiche sono aploidi,
con x cromosomi e le cellule somatiche sono diploidi, con 2x cromosomi; quindi il
numero di cromosomi nell’uomo, intendendo il numero nelle cellule somatiche, è 2x=46.
(vedi ploidia).
Cellula somatica = cellula che costituisce il soma, cioè il corpo degli organismi,
escludendo le cellule della “linea germinale” formate e presenti negli apparati riproduttivi; ha numero diploide (2x) di cromosomi.
Cromosomi = corpiccioli a forma di bastoncino o di x o di v, che si formano quando
una cellula si moltiplica; la formazione dei cromosomi risulta dalla spiralizzazione
(“condensazione”) di filamenti di DNA dispersi nel nucleo cellulare; letteralmente
significa “corpi colorati” perché così appaiono al microscopio dopo un’opportuna
colorazione, in un certo stadio della mitosi (vedi mitosi).
Cultivar (abbreviato in cv) = corrisponde a una varietà coltivata e propagata
vegetativamente. Nelle piante riprodotte da seme in quantità, come grano, tabacco e
poche altre, il nome identifica una varietà che presenta determinati caratteri uguali al
prototipo brevettato, per almeno una generazione (le ditte sementiere quindi devono
mantenere e continuamente produrre le varietà da seminare, con particolari procedure).
DNA = abbreviazione inglese di “acido desossiribonucleico”; esso consiste di grandi
molecole composte da “mattoncini” diversi, che disposti in un certo modo portano delle
informazioni precise alle cellule, indicando il loro destino, la loro funzione, la produzione
di proteine ecc. In pratica sono le molecole responsabili dell’ereditarietà dei caratteri.
Gamete = cellula aploide deputata alla riproduzione; quando due cellule gametiche di
sesso diverso si fondono, formano la prima cellula (lo zigote) di un nuovo individuo.
Gene = unità funzionale del DNA, in grado di condurre alla formazione di una proteina,
responsabile quindi di un determinato carattere. I geni sono situati nei cromosomi in
determinate posizioni.
Genoma = insieme del patrimonio genetico di una cellula (o di un individuo).
Istogeno = uno degli strati che costituiscono i meristemi e poi, nella differenziazione,
formano i tessuti; generalmente si tratta di 3 strati sovrapposti.
Meristema = tessuto totipotente, cioè in grado di formare, da singole cellule, differenti
tessuti e interi individui; localizzato in varie zone, negli apici ma non solo, è responsabile
dell’accrescimento e della formazione degli organi.
Mitosi = processo regolare di divisione cellulare, in cui ogni cellula “figlia” riceve dalla
cellula “madre” tutti i componenti, in modo da formare praticamente due copie uguali
della cellula originaria.
Ploidìa = grado di moltiplicazione di una serie completa di cromosomi, partendo dal
numero di cromosomi tipici delle cellule gametiche (vedi cellule aploidi e diploidi in
Cellula gametica). Cellule (ed individui) con 3 serie complete di cromosomi (3x) sono
dette triploidi; con 4 serie (4x) tetraploidi, ecc.
Trasposoni = elementi trasponibili, ovvero frammenti di DNA più o meno ampi, in
grado di spostarsi all’interno della cellula e di inserirsi in posizioni diverse nei
cromosomi. Ciò può provocare effetti genetici visibili, allo stesso modo di una
mutazione. Sono stati scoperti nelle piante dalla ricercatrice americana Barbara
McClintock, premio Nobel per tale scoperta, ma possono essere presenti anche nei
batteri e negli animali.
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