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Emily Dickinson |
Coltivava
gigli, iris e rose, orchidee in serra, ma amava
soprattutto le violette.
Quando morì, per
tutti era soltanto una giardiniera. |
Quando
Emily Dickinson muore, a 55 anni, nel maggio del 1886, ha
pubblicato solo sei delle sue 1.775 poesie, e anche quelle,
per la maggior parte, anonime. Ad Amherst, nel New England,
dove è nata e ha trascorso la maggior parte della sua
vita, è conosciuta come esperta giardiniera. La chiamano
il Mito per la sua scelta di vivere, negli ultimi anni della
sua esistenza, reclusa dal mondo e vestita di bianco. Durante
la cerimonia funebre la sorella minore, Lavinia, a lei devota,
le mette in mano dei fiori di eliotropo. Attorno alla gola
posa violette e orchidee spontanee. Emily aveva chiesto che
la bara fosse portata a braccio nei campi dove fiorivano i
ranuncoli gialli, fino al West Cemetery, visibile dalle finestre
della casa di famiglia.
Per la poetessa americana, autrice di versi come «Natura è melodia» ed «Essere
un fiore, è profonda responsabilità», la
fama arriverà postuma. I suoi componimenti furono trovati
dopo la sua morte, raccolti in quaderni legati con un filo
di lana rosso, senza titolo. Esiste una sola fotografia di
Emily Dickinson. Non si sposò mai, anche se fu chiesta
in moglie. Oltre alle poesie, di rara forza e originalità,
Emily scrive molte lettere a cui spesso allega fiori
essiccati.
Ai rari visitatori che accetta di vedere fa volentieri dono
di uno stelo fiorito.
Un libro uscito da poco negli Stati Uniti, The Gardens
of Emily Dickinson, di Judith Farr, racconta il rapporto
della poetessa con il mondo naturale. La Dickinson, in vita,
cura il giardino
di casa con le sue rose, i gigli, gli Hemerocallis,
i garofanini, i narcisi, le fritillarie, i malvoni, gli anemoni,
i piselli
odorosi, le dalie, gli Aster, le digitali, le salvie e i melograni.
Cagionevole di salute e sofferente di una grave malattia agli
occhi, ottiene dal padre avvocato e deputato di far costruire
una piccola serra dove dedicarsi estate e inverno alla coltivazione
delle piante. Dietro alle finestre vetrate Emily cura piante
tropicali allora rare come gelsomini, gardenie, camelie e orchidee.
La Dickinson ha una predilezione particolare, però,
per le piante selvatiche. Le violette, le genziane,
le margherite e l'umile trifoglio compaiono spesso, assieme
alle api, nelle
sue poesie. Nelle sue lunghe passeggiate solitarie sulle colline
di Amherst raccoglie fiori e foglie che dispone ordinatamente
in un erbario. Conosce bene la botanica e il linguaggio dei
fiori.
Quando
scrive, considera le piante alla stregua di esseri umani.
Per lei le rose di macchia "arrossiscono" nella
palude, i boschi sono pieni di pianoforti, la genziana "ammalia",
i ranuncoli flirtano con lei e l'ape «sfoggia sillabe
di seta e scarpa snella».
Sono pochi i poeti che dipingono con tanta esattezza
la fioritura dei lillà, lo schiudersi di un dente di leone, le sciarpe
rosse dei pettirossi, lo scivolare di una serpe nell'erba,
il cucire dei ragni. I prati e i boschi che la circondavano
sono stati forse la maggior fonte di gioia per la Dickinson
che, parca come un uccellino, di briciole ha vissuto.
Nell'isolamento della sua stanza spartana, con la sua calligrafia
spigolosa, scrive una poesia che sembra un testamento, la
441: «Questa è la
mia lettera al mondo/che non ha mai scritto a me».
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La
casa e il giardino di Emily Dickinson.
Come cento anni
fa,
vi si coltivano i fiori
che la poetessa
amava, fra
cui gigli,
malvoni, rose, salvie
ed Hemerocallis.
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