Quando
la Dickinson incominciò a raccogliere foglie,
petali, steli, aveva quattordici anni.
Li incollava su grandi
fogli accompagnandoli con una didascalia.
Un esercizio botanico
e alchemico che gettò i semi dei suoi versi e delle
sue "geometrie dell'estasi "
Ora il suo "Herbarium" viene pubblicato In Italia
Il
libro |
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L'Herbarium,
per lungo tempo conservato nella biblioteca di Harvard, è rimasto
finora sconosciuto al pubblico italiano. Ora viene
pubblicato da Elliot (250 pagine, 120 euro) in edizione
facsimile,
arricchito da alcuni saggi introduttivi, dal catalogo
e da un indice delle specie botaniche presenti. Vi
sono anche alcune poesie (che riproponiamo, tratte
da Emily
Dickinson: Tutte le poesie, I Meridiani, Mondadori).
All’Herbarium, che sarà in libreria
il 27 novembre, è anche dedicata una mostra
al Museo civico di storia naturale "G. Doria" di
Genova. |
Rocambolesche
vicende ereditarie portano un certo giorno le spoglie della
storia terrena di Emily Dickinson alla Houghton Library d Harvard.
Arrivano enormi bauli con i libri di casa, i dagherrotipi,
vari oggetti dell'infanzia, i ritratti dei Dickinson bambini,
i manoscritti... E tra il bric-à-brac che accompagna
l'esistenza, un Herbarium. Ovvero, un album dalla copertina
rigida, di colore verde, che conta sessantasei pagine,
in cui una mano esperta ha con cura disposto in mostra
424 esemplari essiccati di fiori e piante da giardino,
da prato o da interno, appartenenti a specie autoctone
o naturalizzate nelle vicinanze di Amherst, Massachusetts.
I
grandi fogli vengono ripuliti dalla polvere, e dagli insetti
che
vi si erano annidati, e si scopre cosìi la bellezza
del primo, anzi unico "libro" di Emily Dickinson.
La disposizione dei fiori, le combinazioni di foglie e
gambi e corolle, le etichette con i nomi propri, per lo
più in latino, tutto è incantevole. E oggi
perfettamente riprodotto in facsimile dalla casa editrice
Elliot. È un regalo meraviglioso per noi appassionati
di Emily.
Che
ci avvicina ancora di più alla sua poesia. E conferma
quel che già sapevamo, e cioè che Emily
Dickinson è una scienziata della natura. Una naturalista
attenta e scrupolosa, che nell'Herbarium raccoglie non solo
esemplari botanici, ma i semi della sua poesia.
I
fiori essiccati sono ad arte accoppiati perché conversino
insieme i più umili e i più sofisticati.
Come in quelle sacre conversazioni della pittura rinascimentale,
un muto colloquio unisce il gelsomino bianco e il crespino
comune, sì che la grazia delicata del primo suggerisce
a contrasto la forza tenace del secondo.
Emily adora entrambe: sia la forza che la fragilità.
Dalla frequenza con cui appaiono nelle sue pagine è chiaro
che ama i narcisi, ma anche i gerani, e le margherite.
Si identifica con una margherita. E in poesia, la numero 19
, interpreta senza difficoltà la parte della rosa.
A volte sbaglia, confonde il Toxicodendron radicans con
il celastro, chiama la Gentiana clausa con il nome
di cardo stellato. Sono errori non di incompetenza, ma di distrazione,
secondo me. Li fa anche Henry Thoreau nel suo erbario.
Lo dico per avvertire che la devozione allo studio di fiori
e piante e erbe era comune in quegli anni. Attività poetica,
più che femminile per Emily. La quale in tale
occupazione si apparenta ai
poeti, più che alle donne: a
Shakespeare,
che ha un vocabolario botanico vastissimo e distingue
la cicuta dal crescione e dalla zizzania; e a Keats,
che quando poggia i piedi in vetta a un colle riconosce il
biancospino
e il laburno e la siepe d'avellana e la rosa selvatica... Se
i romantici hanno letto Rousseau, che è grande
botanico, Emily ha letto senz'alto il grande saggio di Emerson sulla natura. E condivide l'emozione di Thoreau, quando
in Walden, di fronte alla primavera, confessa di sentirsi «nel
laboratorio dell'artista che creò il mondo». Nel
vocabolario trascendentale scienza e teologia si abbracciano.
Né dobbiamo dimenticare che Emily è una giovane
donna istruita, che si avvantaggia delle migliori scuole.
Appartiene non a caso a una famiglia coinvolta nella
storia dell'istruzione in America. E nei sette anni trascorsi
all'Amherst Academy, fondata dal nonno, dove entrò all'età di
nove anni, imparò non solo a leggere, scrivere e far
di conto, ma si educò alla filosofia, al latino, alla
botanica. Nella convinzione che, grazie alla scienza,
l'amore dovuto alla Creazione, in quanto manifestazione
dell'Altissimo, si sarebbe rafforzato. E dal cuore sarebbe
sgorgata spontanea l'esclamazione di gratitudine a Dio
padre, artefice di ogni bellezza.
Ma
per riuscire a vedere che «il Soprannaturale
non è altro che il Naturale rivelato» bisognava
applicarsi: la «rivelazione» sarebbe mancata
a chi non avesse occhi «preparati». Ecco perché Emily,
studentessa non solo scrupolosa, ma intelligente, studia
con passione la storia naturale, zoologia e botanica, e impara
a distinguere il calice e il sepalo, la corolla, lo stame,
il pistillo, il ricettacolo, il pericarpo, il seme.
E’ precisa
Emily. Ha una mente lucida, ama il dettaglio. Non usa mai
l'immagine del fiore in modo decorativo, evocativo,
alla maniera di Wordsworth, per fare un esempio. Semmai, lavora
al modo opposto. Osservate la poesia 66: nei primi quattro
versi descrive nudamente il processo che porta dal bulbo
al flore, nei tre successivi associa alla metamorfosi
del bruco in farfalla. E negli ultimi tre ci lascia perplessi.
Sapremo cogliere il simbolo? Si, se
saremo capaci della piroetta metafisica, che
stringe in vertiginosa intimità micro
e macrocosmo.
Ma intanto, sotto i nostri occhi è fiorito un bulbo, è nata
una farfalla.
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Dalla
zolla, così,
d'oro e scarlatto
sorgerà più d'un bulbo
che scaltramente fu nascosto
ad occhi esperti
Dal bozzolo, così,
balzerà più d'un verme
con tanti lieti colori
I contadini come me,
i contadini come te guardano perplessi
(Poesia 66,1859 ca)
Un
sepalo ed un petalo e una spina
in un comune mattino d'estate,
un fiasco di rugiada, un'ape o due,
una brezza,
un frullo in mezzo agli alberi—
ed io sono una rosa!
(Poesia 19,1858 ca.)
La
pallida colonna del soffione
sgomenta l'erba — ed ecco
che l’inverno d'un tratto si trasforma
in un coro di gemiti infinito—
Una sontuosa gemma dallo stelo
spicca seguita da un fiore sgargiante —
sono i soli che danno l'annuncio
delle esequie compiute
(Poesia 1519,1881 ca.)
Fiorire - è il fine - chi passa un fiore
con uno sguardo distratto
stenterà a sospettare
le minime circostanze
coinvolte in quel luminoso
fenomeno
costruito in modo così intricato
poi offerto come una farfalla
al mezzogiorno—
Colmare il bocciolo — combattere il verme
ottenere quanta rugiada gli spetta –
regolare il calore — eludere il vento—
sfuggire all'ape ladruncola
non deludere la natura grande
che l'attende proprio quel giorno —
essere un fiore, è profonda
responsabilità—
(Poesia 1058,1865 ca.)
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