GIARDINI
RIFLESSIONI SULLA CONDIZIONE UMANA
di Robert Pogue Harrison
a cura di Ornella Ferrari Gigante
(4 marzo 2012)
Un bellissimo libro di filosofia, di sociologia, di storia e di estetica mescolate armoniosamente ed in modo assolutamente affascinante. Un appagante excursus che parla dell'anima umana, utilizzando i giardini come pretesto, dai tempi più remoti ai più recenti. Inizia dai mitici due giardini dell'Epopea di Gilgamesh a cui segue la domanda sul perché Odisseo respinga l'offerta di Calypso di restare con lei nella sua terra incantata ed incantevole, dove non si muore mai, con la risposta che, poiché lui era umano, se fosse rimasto si sarebbe dedicato al giardinaggio, perché l'uomo-faber non riesce a godere di un eden precostituito in cui non ci sia nulla da fare. Poi c'è il rimpianto accorato di Achille, che si lamenta di non essere più "sotto il sole", ed Eva, che con la sua disobbedienza ci ha regalato un futuro sempre vario ed il piacere della maternità con tutte le cure che essa comporta. Senza presa di coscienza con la disobbedienza, non sarebbe stato possibile apprezzare l'Eden. Seguono pagine intense e bellissime con citazioni di stupende poesie, che riguardano il lavoro e i desideri del "giardino umano". Il giardino quindi come forma di educazione: il giardiniere infatti vive del futuro poiché aspetta che le piante fioriscano, che i frutti maturino, che gli alberi crescano.
La vita è eccesso o, se si vuole, autoestasi della materia, il principio etico del giardino è "Dai alla terra più di quanto prendi".
L'interessante esperienza dei giardini dei senzatetto di New York, fatti dei più strani materiali di rifiuto, a cielo aperto, anomali ed effimeri più di quelli fatti con le piante. Viene poi una disquisizione sul concetto dell'anima presso gli antichi, che culmina con la definizione di Platone dei pedagoghi da lui chiamati "i giardinieri dell'anima". Il giardino di Epicuro è, a differenza dell'Accademia di Platone, una scuola privata, un orto-frutteto bellissimo che veniva curato dagli stessi allievi che mangiavano ciò che producevano, un orto dedicato a scopi pratici ma coltivato con criteri estetici. L'anima umana per Epicuro si presta alla coltivazione morale come il giardino a quella organica. Ecco perché parlare di "epicureismo attuale" è semplicemente ridicolo: "l'edonismo autentico ci impone richieste ben diverse da quelle che guidano la nostra condotta, richiede che noi, in quanto giardinieri della felicità umana, trasformiamo la sventura dell'essere mortali in una fonte di infiniti doni. E' evidente che siamo tutt'altro che epicurei".
Seguono i giardini del Boccaccio, che modernizza il giardino, lo riporta sulla terra. L'A. analizza l'arte narrativa del Boccaccio che secondo lui è simile a quella che ritroviamo in seguito nell'arte rinascimentale dei giardini. Si parla nuovamente dell'Accademia di Platone, dei giardini dei Medici e della loro funzione di "circoscrizione della filosofia". Sarà l'ascesa della monarchia assoluta a condannare i giardini aperti agli artisti ed ai filosofi a ritirarsi nell'ombra. Una nota su Versailles ci rivela la paura e lo stupore dell'A. per il troppo soggiogamento della natura dopo aver distrutto il paesaggio preesistente. Troppo artificio stanca. Questo oltraggio alla natura, se pure perfetto nella sua artificiosità, è frutto della superbia, dell'invidia e della gelosia per gli splendidi giardini del Ministro Fouquet, nonché della rivalità e dell'imitazione visto che li fece copiare esattamente.
Passiamo quindi al "saper vedere", che è cosa sempre più rara. Ci racconta così del giardino Zen, che con grande evidenza ci fa immaginare altro da quello che è. "Il giardino, la casa, l'uomo, sono un organismo vivente che non bisogna scomporre. Le piante sbocciano bene solo sotto lo sguardo amoroso dell'uomo. Se l'uomo lascia la sua dimora, il giardino deperisce, la casa cade in rovina". Riprende la famosa citazione di Chuang Tzu "Sono io ad aver sognato di essere una farfalla o è la farfalla ad aver sognato di essere me?" Paragona quindi l'Eden islamico al Paradiso terrestre, il luogo in cui i giusti avranno pace e serenità. L'A. si domanda come l'occidente, ma anche l'Islam riescano a conciliare il mondo frenetico di oggi ed anche le lotte armate con questo desiderio di serenità e di pace eterni. Dopo aver descritto i due giardini dell'Orlando Furioso, per lui emblema della moderna cinesi, ed aver paragonato quello di Alcina, creato dalla magia e perciò sterile, benché rappresenti l'attrazione, l'evasione e l'incanto, a quello di Logistilla, vero reale, eterno, giunge ai tempi nostri. Analizza scrittori e poeti moderni, esortandoci con Ezra Pound a "coltivare il nostro giardino" e ad essere "uomini, non distruttori".
In conclusione l'Eden è un luogo in cui l'uomo non è mai stato a suo agio, e dobbiamo essere estremamente grati ad Eva che ha provocato lo sfratto dall'Eden perché non voleva restare eternamente nell'infanzia ma entrare nella maturità dove si sceglie la propria vita.