IL
GIARDINIERE COL FIORE IN BOCCA
Libereso Guglielmi, un umanista che vive per le piante
(testo
e foto di Paolo Cottini, da Giardini, aprile 2003)
Coloro
che non hanno mai avuto occasione di incontrarlo nel suo giardino
privato o in una delle sue
"conferenze" informali, durante le quali il suo irruente
amore per le piante potrebbe contagiare anche il più
apatico dei plantigradi, non si rendono conto di chi sia realmente
Libereso Guglielmi.
È per questo che più d'uno, per inquadrarlo in
qualche modo, ricorre all'abusata etichetta di "giardiniere
di Calvino", un fortunatissimo logo inventato da Ippolito
Pizzetti, che però va bene per intitolare un libro, non
per imprigionare un vulcano come lui.
Libereso (come tutti lo chiamano subito dopo averlo conosciuto),
se proprio vogliamo trovare una similitudine, è come
una enciclopedia multimediale: tu clicchi un'icona qualsiasi
e lui parte con una serie di immagini, osservazioni, spiegazioni
e soprattutto con migliaia di "links" che ti lasciano
tramortito e ti fanno pensare che tu, fino a quel momento, non
avevi capito assolutamente nulla di quanto la dea Flora ha generato
in questi ultimi diecimila anni.
Libereso esplora tutto, conosce tutto, ricorda tutto e soprattutto
ama e fa amare tutto quanto abbia al suo interno un microgrammo
di clorofilla: da uno stelo di Poa annua alla sua adorata
Thunbergia grandiflora.
E chi pensa che questo sia solo un banale panegirico giornalistico,
provi a chiedere conferma agli "Amici del Verde" di
Monza (e-mail:amicidelverde@tiscalinet.it;
sito web: www.amicidelverde.it),
l'associazione di appassionati che per anni lo vide protagonista
incontrastato di autentici show.
Negli
anni Ottanta lo conobbi proprio lì e, come tutti i presenti,
ne rimasi affascinato, divertito e anche un po' stordito. Lui
entrava in sede prima delle 21 con il compito di "introdurre"
la serata, ma in realtà il conferenziere che doveva succedergli
avrebbe volentieri raccattato le sue diapositive per tornarsene
a casa, dopo tanto scoppiettare di scienza e d'umanità.
Arrivava, spesso direttamente, dal giardino di cui era responsabile
(il celebre Gernetto, una villa storica di Lesmo dove
coltivava, fra l'altro, 300 varietà di rose), con un
fardello di piante che rovesciava sul tavolo dando subito inizio
allo spettacolo, fatto di dotte non meno che gustose illustrazioni.
Ciò che più colpiva, tuttavia, era che dopo aver
parlato di una qualunque specie, quasi regolarmente
se ne ingeriva una parte: corteccia, foglie, bacche o fiori,
nulla si sottraeva al cerimoniale, se si eccettuano il ricino,
la digitale e poco altro. Memore di questo rito, ma soprattutto
del carisma, del sapere e della sensibilità di un giardiniere
tanto singolare, sono andato a trovarlo a Sanremo, dove vive
governando un suo minuscolo giardino con la stessa passione
e competenza con cui ha reso famoso l'immenso parco del Gernetto.
Gentilissimo, ma ribelle a qualunque costrizione, quel giorno
egli mi sfuggiva di qua e di là senza lasciarmi il tempo
di fotografarlo o di porgli un quesito, indaffarato com'era
a palpare e magnificare questa o quella pianta. Allora, come
in un flashback, mi sono ricordato delle abbuffate monzesi,
chiedendogliene ragione: mal me ne incolse, perché da
quel momento sono diventato anch'io un mezzo lotofago e, pur
senza aver del tutto scordato il gusto del risotto, ho imparato
ad apprezzare - chi l'avrebbe mai detto? - la Parietaria
nei ravioli e il fiore d'Abutilon al gorgonzola. I miei
famigliari mi guardano ora un po' confusi, ma in quella piccola
"giungla" sanremese, con lo stomaco sazio di erbe
e fiori, sono riuscito ad ammansire Libereso e a ottenere questa
intervista.
- Libereso... un nome o un programma? Quando
sono nato, mio padre, che era un anarchico tolstoiano, stava
imparando l'esperanto: da questa lingua prese il mio nome, che
significa "assolutamente libero di pensiero, parola e azione".
Sono nato su una collina di Bordighera e poi, quando avevo cinque
anni, ci siamo trasferiti qui a Sanremo dove avevamo una grande
campagna, che già amavo di una specie di amore ancestrale.
-
Tu però sei spesso conosciuto con l'appellativo di "giardiniere
di Calvino"... Quando
avevo 14 anni il professor Mario Calvino un giorno passò
di lì e vide noi ragazzini, vale a dire me e mio fratello,
che lavoravamo in giardino: rimase colpito dalle aiuole che
avevamo fatto e chiese a mio padre se volevamo lavorare come
borsisti per la "Stazione sperimentale di floricoltura
di Sanremo", di cui era direttore. Così ottenemmo
una borsa di studio sulla floricoltura ligure. Mario Calvino
non era semplicemente un agronomo, era un grande botanico ed
esperto di piante tropicali. Nel 1908
era andato in Messico ed era diventato uno dei responsabili
dell'agricoltura messicana: erano i tempi di Porfirio Diaz.
Fu Calvino a far avere la terra ai contadini, a insegnare le
colture ai peones, a girare il mondo per riportare piante nuove
nella repubblica messicana.
-
E che rapporto avesti con suo figlio Italo, il grande scrittore?
Il mio primo impegno da borsista fu lavorare nel giardino
dei Calvino, a villa Meridiana. Qui naturalmente conobbi Italo,
che era venuto a Sanremo nel '25, quando aveva due anni. Allora
la sua famiglia abitava in una grande villa vicino al Casinò:
poi comprarono villa Meridiana, nel centro di Sanremo, e una
parte dell'edificio e il giardino furono adibiti a stazione
sperimentale. Lì ho lavorato per dieci anni, raccoglievo
i frutti, li piantavo, si faceva ricerca. È stato uno
dei periodi più vivi della mia esistenza. Italo, invece,
era poco interessato alle piante, lui voleva fare solo il giornalista
e lo scrittore.
Tra i personaggi del Barone rampante ci sono anch'io:
noi ragazzi saltavamo veramente da un pino all'altro, di ramo
in ramo, per raccogliere le pigne. In fondo, tutti i personaggi
di Calvino sono persone reali e io li ho conosciuti: il Visconte
dimezzato era un suo zio, dal carattere molto mutevole.
Era capace di dirmi "Va', va' a mangiare la frutta"
e poi, dopo che l'avevo presa: "Ma cos'hai fatto? Hai mangiato
la frutta?". Italo era un grande osservatore, ci veniva
dietro sempre con un suo libriccino, io non pensavo che annotasse
tutto e invece... mi ha anche descritto perfettamente nel racconto
'Un pomeriggio, Adamo'.
-
Parlami invece del tuo percorso professionale. Dal '52 al
'58 sono stato a Napoli, chiamato dai miliardari brasiliani
Matarasso per i quali dirigevo un'azienda di orchidee e una
seconda, a Santa Maria di Castellabate nel Cilento, che iniziava
a produrre garofani. Poi un giorno mio fratello, che lavorava
in Inghilterra, m'invitò presso di lui. Lì conobbi
mia moglie, che m'insegnò l'inglese e mi segnalò
un giardino botanico, Myddelton House, che cercava un assistente
capo-giardiniere. Dovevo restare in Inghilterra una settimana
e vi rimasi per dodici anni. In quel posto ho lavorato anche
per lo zio di Camilla Parker Bowles, l'attuale compagna del
principe Carlo: aveva un giardino con flora mediterranea e vi
ritrovai piante che avevo visto solo sulle mie montagne. In
Inghilterra conobbi il terzo maestro della mia vita, dopo mio
padre e Mario Calvino: il professore di farmacognosia Fairbear.
-
Perché tornasti in Italia? Perché
era morto mio padre. Lavorai per il Comune di Sanremo, viaggiai
a lungo per il mondo (Indonesia, Celebes, Marocco, India...)
e approdai infine al Gernetto, in Brianza. Andato in pensione,
oggi vivo qui, nel centro di Sanremo. Ho un giardino piccolo,
ma con più di 400 varietà di fiori e piante...
-
Scusa, ma io nel tuo giardino non riesco a orizzontarmi: è
microscopico, ma mi ci perdo. Mi accompagni? Certo,
vieni con me. Vedi, qui le piante crescono in modo naturale,
non uso insetticidi né concimi: ogni pianta si forma
il suo mondo, cresce e muore, come avviene in natura. Il "valore"
non è vedere una pianta al massimo della sua crescita
ma conoscerla fin dalla nascita: è come per i bambini,
è bello vederli crescere, sorridere alla vita...
-
Qual è la tua concezione di giardino? Beh, dipende
molto dal luogo in cui lo devi realizzare. In ogni caso, a mio
parere il giardino deve essere parte di noi stessi, quindi parte
della natura. Deve essere uno spazio in cui ritrovi l'armonia
del creato, perché tu stesso hai ricreato un ambiente
naturale.
- Ricordi, Libereso, le sere di Monza, quando ti mangiavi
quasi tutto? Certo, del resto ero e sono vegetariano. Non
mangiavo piante per stupire, ma perché sono buone! Oggi
noi compriamo solo insalata, carote e poco più e così
ci perdiamo un'infinità di sapori. Moltissime piante
sono eduli: la Oxalis pes-caprae, che si chiama così
per la forma della foglia, sa di limone: i fiori si possono
mettere nell'insalata, mentre in
Sudafrica pestano la pianta finemente, la mettono in una bottiglia
d'acqua e ne esce una limonata. Nelle mie conferenze faccio
conoscere le piante alimentari che abbiamo: più di 300,
ma non le conosciamo. È buona l'Alstroemeria:
si mangiano i getti nuovi come se fossero asparagi, insieme
con le patate. È buono il Tropaeolum: le foglie
si possono mangiare, i fiori si mettono nell'insalata, i boccioli
si usano come capperi e un tempo si macinavano i semi; aggiungendo
aceto alla farina che se ne ricavava, si faceva una specie di
senape. Della Calendula si mangiano i germogli come verdura,
mentre i fiori si mettono nell'alcol e se ne ricava un linimento...
-...
adesso stai mangiando anche un fiore d'Abutilon? Ma è
squisito! Togli stami e pistillo e riempi la corolla con gorgonzola
o un formaggio cremoso. Prova, su prova! Com'è? E assaggia
questo frutto di Fuchsia; poi, sai che le foglie di Philadelphus
hanno il gusto di cetriolo, mentre quelle di Plantago major
sembrano un fungo porcino? È vero o no? Coraggio,
mangia, non temere! Prova poi a coprire una torta con petali
di rose diverse, su cui versi uno strato di gelatina d'albicocca;
ne ho fatta una per l'Hotel Royal di Sanremo e me la chiedono
ancora oggi.
- ??? (A questo punto Libereso si scatena: inghiotte e mi fa
inghiottire, l'una dopo l'altra, Ligularia, Parietaria,
campanule, viole, Pulmonaria, Cymbalaria e persino
un'infiorescenza di Beloperone. Per sottrarmi all'ingrasso,
cambio argomento).
-
Ieri non potevi ricevermi perché eri in una scuola: a
fare che, se è lecito? Insegno
il mondo delle piante ai bambini, che sono ancora capaci di
essere in simbiosi con l'ambiente e che invece noi roviniamo
con il mito del denaro... Insegno anche il disegno, che ho imparato
da solo. Antonio Rubino, il grande illustratore del Corriere
dei piccoli, un giorno mi disse: "Quando tu vai in
giro, prendi una foglia e la disegni, ecco che sei un pittore".
Ai bambini insegno a disegnare in fretta e usando le lettere
dell'alfabeto: ogni lettera è un segno molto versatile:
una M può essere un becco, un piede e molte altre cose.
Nel disegno l'importante è essere veloci, non aver paura
di sbagliare, rielaborare quelli che possono sembrare errori.
-
Libereso, oggi mi hai spiegato migliaia di cose. Quale frase
di un tuo maestro ricordi più volentieri? Mario
Calvino, dopo avermi insegnato tutto sulle piante, una volta
mi disse: "Un giorno ti piacerà una rosa selvatica".
Era vero.
Nota. Il testo dell'intervista è stato drasticamente
ridotto a un ventesimo, perché il Direttore si è
garbatamente rifiutato di dedicare l'intera rivista a un solo
servizio. Di questo ci scusiamo con Libereso, uno dei rarissimi
personaggi pubblici dietro la cui facondia non si nasconde il
vuoto, ma un cosmo di idee intelligenti e di pennellate di sensibilità.