IL GIARDINIERE COL FIORE IN BOCCA
Libereso Guglielmi, un umanista che vive per le piante
(testo e foto di Paolo Cottini, da Giardini, aprile 2003)


Il ninfeo del 1896Coloro che non hanno mai avuto occasione di incontrarlo nel suo giardino privato o in una delle sueThunbergia grandiflora "conferenze" informali, durante le quali il suo irruente amore per le piante potrebbe contagiare anche il più apatico dei plantigradi, non si rendono conto di chi sia realmente Libereso Guglielmi.
È per questo che più d'uno, per inquadrarlo in qualche modo, ricorre all'abusata etichetta di "giardiniere di Calvino", un fortunatissimo logo inventato da Ippolito Pizzetti, che però va bene per intitolare un libro, non per imprigionare un vulcano come lui.
Libereso (come tutti lo chiamano subito dopo averlo conosciuto), se proprio vogliamo trovare una similitudine, è come una enciclopedia multimediale: tu clicchi un'icona qualsiasi e lui parte con una serie di immagini, osservazioni, spiegazioni e soprattutto con migliaia di "links" che ti lasciano tramortito e ti fanno pensare che tu, fino a quel momento, non avevi capito assolutamente nulla di quanto la dea Flora ha generato in questi ultimi diecimila anni.
Libereso esplora tutto, conosce tutto, ricorda tutto e soprattutto ama e fa amare tutto quanto abbia al suo interno un microgrammo di clorofilla: da uno stelo di Poa annua alla sua adorata Thunbergia grandiflora.
E chi pensa che questo sia solo un banale panegirico giornalistico, provi a chiedere conferma agli "Amici del Verde" di Monza (e-mail:amicidelverde@tiscalinet.it; sito web: www.amicidelverde.it), l'associazione di appassionati che per anni lo vide protagonista incontrastato di autentici show.

Libereso mangia un fiore di Justicia brandegeana (Beloperone)

Negli anni Ottanta lo conobbi proprio lì e, come tutti i presenti, ne rimasi affascinato, divertito e anche un po' stordito. Lui entrava in sede prima delle 21 con il compito di "introdurre" la serata, ma in realtà il conferenziere che doveva succedergli avrebbe volentieri raccattato le sue diapositive per tornarsene a casa, dopo tanto scoppiettare di scienza e d'umanità. Arrivava, spesso direttamente, dal giardino di cui era responsabile (il celebre Gernetto, una villa storica di Lesmo dove coltivava, fra l'altro, 300 varietà di rose), con un fardello di piante che rovesciava sul tavolo dando subito inizio allo spettacolo, fatto di dotte non meno che gustose illustrazioni. Ciò che più colpiva, tuttavia, era che dopo aver parlato di una qualunque specie, quasi Il laghettoregolarmente se ne ingeriva una parte: corteccia, foglie, bacche o fiori, nulla si sottraeva al cerimoniale, se si eccettuano il ricino, la digitale e poco altro. Memore di questo rito, ma soprattutto del carisma, del sapere e della sensibilità di un giardiniere tanto singolare, sono andato a trovarlo a Sanremo, dove vive governando un suo minuscolo giardino con la stessa passione e competenza con cui ha reso famoso l'immenso parco del Gernetto.

Gentilissimo, ma ribelle a qualunque costrizione, quel giorno egli mi sfuggiva di qua e di là senza lasciarmi il tempo di fotografarlo o di porgli un quesito, indaffarato com'era a palpare e magnificare questa o quella pianta. Allora, come in un flashback, mi sono ricordato delle abbuffate monzesi, chiedendogliene ragione: mal me ne incolse, perché da quel momento sono diventato anch'io un mezzo lotofago e, pur senza aver del tutto scordato il gusto del risotto, ho imparato ad apprezzare - chi l'avrebbe mai detto? - la Parietaria nei ravioli e il fiore d'Abutilon al gorgonzola. I miei famigliari mi guardano ora un po' confusi, ma in quella piccola "giungla" sanremese, con lo stomaco sazio di erbe e fiori, sono riuscito ad ammansire Libereso e a ottenere questa intervista.


- Libereso... un nome o un programma?
Quando sono nato, mio padre, che era un anarchico tolstoiano, stava imparando l'esperanto: da questa lingua prese il mio nome, che significa "assolutamente libero di pensiero, parola e azione". Sono nato su una collina di Bordighera e poi, quando avevo cinque anni, ci siamo trasferiti qui a Sanremo dove avevamo una grande campagna, che già amavo di una specie di amore ancestrale.

- Tu però sei spesso conosciuto con l'appellativo di "giardiniere di Calvino"... Quando avevo 14 anni il professor Mario Calvino un giorno passò di lì e vide noi ragazzini, vale a dire me e mio fratello, che lavoravamo in giardino: rimase colpito dalle aiuole che avevamo fatto e chiese a mio padre se volevamo lavorare come borsisti per la "Stazione sperimentale di floricoltura di Sanremo", di cui era direttore. Così ottenemmo una borsa di studio sulla floricoltura ligure. Mario Calvino non era semplicemente un agronomo, era un grande botanico ed esperto di piante tropicali. Nel 1908Justicia brandegeana (beloperone) era andato in Messico ed era diventato uno dei responsabili dell'agricoltura messicana: erano i tempi di Porfirio Diaz. Fu Calvino a far avere la terra ai contadini, a insegnare le colture ai peones, a girare il mondo per riportare piante nuove nella repubblica messicana.

- E che rapporto avesti con suo figlio Italo, il grande scrittore? Il mio primo impegno da borsista fu lavorare nel giardino dei Calvino, a villa Meridiana. Qui naturalmente conobbi Italo, che era venuto a Sanremo nel '25, quando aveva due anni. Allora la sua famiglia abitava in una grande villa vicino al Casinò: poi comprarono villa Meridiana, nel centro di Sanremo, e una parte dell'edificio e il giardino furono adibiti a stazione sperimentale. Lì ho lavorato per dieci anni, raccoglievo i frutti, li piantavo, si faceva ricerca. È stato uno dei periodi più vivi della mia esistenza. Italo, invece, era poco interessato alle piante, lui voleva fare solo il giornalista e lo scrittore.
Tra i personaggi del Barone rampante ci sono anch'io: noi ragazzi saltavamo veramente da un pino all'altro, di ramo in ramo, per raccogliere le pigne. In fondo, tutti i personaggi di Calvino sono persone reali e io li ho conosciuti: il Visconte dimezzato era un suo zio, dal carattere molto mutevole. Era capace di dirmi "Va', va' a mangiare la frutta" e poi, dopo che l'avevo presa: "Ma cos'hai fatto? Hai mangiato la frutta?". Italo era un grande osservatore, ci veniva dietro sempre con un suo libriccino, io non pensavo che annotasse tutto e invece... mi ha anche descritto perfettamente nel racconto 'Un pomeriggio, Adamo'.

- Parlami invece del tuo percorso professionale. Dal '52 al '58 sono stato a Napoli, chiamato dai miliardari brasiliani Matarasso per i quali dirigevo un'azienda di orchidee e una seconda, a Santa Maria di Castellabate nel Cilento, che iniziava a produrre garofani. Poi un giorno mio fratello, che lavorava in Inghilterra, m'invitò presso di lui. Lì conobbi mia moglie, che m'insegnò l'inglese e mi segnalò un giardino botanico, Myddelton House, che cercava un assistente capo-giardiniere. Dovevo restare in Inghilterra una settimana e vi rimasi per dodici anni. In quel posto ho lavorato anche per lo zio di Camilla Parker Bowles, l'attuale compagna del principe Carlo: aveva un giardino con flora mediterranea e vi ritrovai piante che avevo visto solo sulle mie montagne. In Inghilterra conobbi il terzo maestro della mia vita, dopo mio padre e Mario Calvino: il professore di farmacognosia Fairbear.

Alstroemeria lutea- Perché tornasti in Italia? Perché era morto mio padre. Lavorai per il Comune di Sanremo, viaggiai a lungo per il mondo (Indonesia, Celebes, Marocco, India...) e approdai infine al Gernetto, in Brianza. Andato in pensione, oggi vivo qui, nel centro di Sanremo. Ho un giardino piccolo, ma con più di 400 varietà di fiori e piante...

- Scusa, ma io nel tuo giardino non riesco a orizzontarmi: è microscopico, ma mi ci perdo. Mi accompagni? Certo, vieni con me. Vedi, qui le piante crescono in modo naturale, non uso insetticidi né concimi: ogni pianta si forma il suo mondo, cresce e muore, come avviene in natura. Il "valore" non è vedere una pianta al massimo della sua crescita ma conoscerla fin dalla nascita: è come per i bambini, è bello vederli crescere, sorridere alla vita...

- Qual è la tua concezione di giardino? Beh, dipende molto dal luogo in cui lo devi realizzare. In ogni caso, a mio parere il giardino deve essere parte di noi stessi, quindi parte della natura. Deve essere uno spazio in cui ritrovi l'armonia del creato, perché tu stesso hai ricreato un ambiente naturale.

- Ricordi, Libereso, le sere di Monza, quando ti mangiavi quasi tutto? Certo, del resto ero e sono vegetariano. Non mangiavo piante per stupire, ma perché sono buone! Oggi noi compriamo solo insalata, carote e poco più e così ci perdiamo un'infinità di sapori. Moltissime piante sono eduli: la Oxalis pes-caprae, che si chiama così per la forma della foglia, sa di limone: i fiori si possono mettere nell'insalata, mentre inLibereso mangia un fiore di Abutilon Sudafrica pestano la pianta finemente, la mettono in una bottiglia d'acqua e ne esce una limonata. Nelle mie conferenze faccio conoscere le piante alimentari che abbiamo: più di 300, ma non le conosciamo. È buona l'Alstroemeria: si mangiano i getti nuovi come se fossero asparagi, insieme con le patate. È buono il Tropaeolum: le foglie si possono mangiare, i fiori si mettono nell'insalata, i boccioli si usano come capperi e un tempo si macinavano i semi; aggiungendo aceto alla farina che se ne ricavava, si faceva una specie di senape. Della Calendula si mangiano i germogli come verdura, mentre i fiori si mettono nell'alcol e se ne ricava un linimento...

Fuchsia boliviana-... adesso stai mangiando anche un fiore d'Abutilon? Ma è squisito! Togli stami e pistillo e riempi la corolla con gorgonzola o un formaggio cremoso. Prova, su prova! Com'è? E assaggia questo frutto di Fuchsia; poi, sai che le foglie di Philadelphus hanno il gusto di cetriolo, mentre quelle di Plantago major sembrano un fungo porcino? È vero o no? Coraggio, mangia, non temere! Prova poi a coprire una torta con petali di rose diverse, su cui versi uno strato di gelatina d'albicocca; ne ho fatta una per l'Hotel Royal di Sanremo e me la chiedono ancora oggi.


- ??? (A questo punto Libereso si scatena: inghiotte e mi fa inghiottire, l'una dopo l'altra, Ligularia, Parietaria, campanule, viole, Pulmonaria, Cymbalaria e persino un'infiorescenza di Beloperone. Per sottrarmi all'ingrasso, cambio argomento).

- Ieri non potevi ricevermi perché eri in una scuola: a fare che, se è lecito? Insegno il mondo delle piante ai bambini, che sono ancora capaci di essere in simbiosi con l'ambiente e che invece noi roviniamo con il mito del denaro... Insegno anche il disegno, che ho imparato da solo. Antonio Rubino, il grande illustratore del Corriere dei piccoli, un giorno mi disse: "Quando tu vai in giro, prendi una foglia e la disegni, ecco che sei un pittore". Ai bambini insegno a disegnare in fretta e usando le lettere dell'alfabeto: ogni lettera è un segno molto versatile: una M può essere un becco, un piede e molte altre cose. Nel disegno l'importante è essere veloci, non aver paura di sbagliare, rielaborare quelli che possono sembrare errori.

- Libereso, oggi mi hai spiegato migliaia di cose. Quale frase di un tuo maestro ricordi più volentieri? Mario Calvino, dopo avermi insegnato tutto sulle piante, una volta mi disse: "Un giorno ti piacerà una rosa selvatica". Era vero.

 


Nota. Il testo dell'intervista è stato drasticamente ridotto a un ventesimo, perché il Direttore si è garbatamente rifiutato di dedicare l'intera rivista a un solo servizio. Di questo ci scusiamo con Libereso, uno dei rarissimi personaggi pubblici dietro la cui facondia non si nasconde il vuoto, ma un cosmo di idee intelligenti e di pennellate di sensibilità.