Patrick Blanc, botanico eccentrico, ha inventato
i giardini verticali.
A Livia
Manera ha svelato il suo sogno:«Voglio
rivestire i grattacieli».
PATRICK
BLANC ha i capelli color verde petrolio, la camicia verde
acido con un disegno floreale verde bosco, le scarpe
verde stinto che spuntano dai jeans, gli occhiali da presbite
verde smeraldo, e si accende una sigaretta dietro l'altra,
tutte alla menta, con un accendino verde bandiera. «Venga,
voglio farle vedere una cosa», dice cacciandosi dentro
un'automobile verde scarabeo parcheggiata davanti alla sua
mostra «Folies Végétales» all'Espace
Electra di Parigi, che ha gli infissi verde celadon come le
ceramiche cinesi.
Magro, nervoso e simpaticissimo, riemerge spettinato dall'auto
tenendo in mano un disegno a pennarello di un rettangolo in
cui sono inserite centinaia di forme simili a gocce d'acqua
allungate, in ognuna delle quali è scritto il nome scientifico
di una pianta. «Così capisce come lavoro»,
spiega, mentre il nostro sguardo si distrae dal foglio, che
pure è l'attraente progetto di un nuovo muro verde per
i grandi magazzini Bhv di Parigi, attratto dalle lunghissime
unghie delle mani che lo tengono: unghie di tre centimetri
se non di più, curate, pulite e tagliate a mandorla.
Quella del pollice è verde bottiglia con lustrini di
verdi più chiari e più scuri. Blanc indovina
la domanda: «Le porto così da quando avevo dieci
anni, in omaggio a Edith Piaf. Sa, vero, chi era Edith Piaf?
I miei genitori non erano molto contenti».
No, il padre ispettore generale al ministero degli Affari sociali
e la madre casalinga non dovevano essere entusiasti di avere
un figlio maschio con le mani da maliarda. Che pure non hanno
impedito a quel bambino nato in un sobborgo di Parigi nel 1953
e cresciuto in adorazione delle cascate muschiose del Bois
de Boulogne, dove andava a passeggiare con la madre, di diventare
un grande botanico, uno studioso capace di vivere per mesi
su una zattera di legno a 30 metri d'altezza per studiare le
piante delle foreste pluviali della Malesia, e il paesaggista
europeo più ricercato da architetti illustri come Jean
Nouvel e Renzo Piano, per i quali ha messo a punto diversi
muri vegetali che sono diventati ovunque il suo segno di riconoscimento.
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Il
lavoro di Patrick Blanc all'Hotel Pershing Hall di
Parigi
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Le
pareti ideate da Blanc, spesse 6 centimetri, vengono
bagnate con un'irrigazione a circuito chiuso e costano
500 euro al metro quadro:
un lusso accessibile
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L'ultimo
di questi muri, 800 metri quadrati di verde su una parete
esterna del nuovo museo parigino di antropologia e arte
primitiva il Musée de Quai de Branly voluto
dal presidente Chirac, incornicia una parte del progetto architettonico
firmato
da Jean Nouvel
con 15mila piante di 170 specie diverse, fatte venire da Giappone,
Cina, Himalaya, Nord America ed Europa Centrale. «Spero
che non sia andata a vederlo nei giorni scorsi perché quelli
della manutenzione hanno fatto dei disastri. C'erano buchi?» chiede
Blanc. Ma in effetti i disastri non si notavano. «I
miei muri vegetali hanno bisogno di una manutenzione minima:
basta
una potatura leggera due o tre volte l'anno massimo».
«Ma al
Quai Branly il comune ha usato un'impresa che pota gli alberi
della città, si può immaginare... Su una cosa
però mi sono impuntato con le autorità: niente
barriere protettive tra il muro vegetale e la strada. La gente
che cammina sul marciapiede deve essere libera, se lo desidera,
di toccare foglie e muschi. Quelli del comune avevano paura
dei vandali: non è mai successo che qualcuno abbia rovinato
i miei muri».
Il Mur végétal che Patrick Blanc
ha brevettato nel 1988, dopo averlo presentato alla Cité des
Sciences et de l'Industrie della Villette di Parigi, è un
giardino in verticale in cui si intrecciano alocasie, ficus,
felci,
dieffenbachie, filodendri e fatsie, imitando la vegetazione
che cresce sulle pareti di roccia dietro le cascate tropicali,
dove, pur in assenza di terra, piante diverse s'intrecciano
fitte come nella giungla. È fatto di un'ossatura metallica
eretta contro il muro esterno di una casa (ma con piante diverse
si può fare anche all'interno) che sostiene un foglio
di Pvc espanso di un centimetro di spessore su cui è fissato
un feltro con tasche di poliammide che contengono le radici
delle piante. «Lo spessore della struttura non supera
i 6 centimetri». Non c'è un grammo di terra. Un
sistema di irrigazione a circuito chiuso impregna il feltro
in alto con una soluzione nutritiva contenente i sali minerali
necessari, e il resto lo fanno la forza di gravità e la natura: «L'acqua
scende lenta in basso dove è raccolta e rimandata in
alto da una pompa. Il guano lo forniscono gli uccelli che
vengono, fanno il nido nelle piante. E il vento si trova dappertutto».
A 500 euro al metro quadro circa per trent'anni di
durata garantita, bisogna ammettere che il Mur végétal è un
lusso piuttosto accessibile.
Ed è un
po' perché costa relativamente poco,
e un po' perché Blanc è un idealista e attribuisce
il suo successo a un cambiamento di mentalità nel modo
a cui si pensano gli spazi urbani («La gente si sta
accorgendo che abbiamo bisogno di riconciliare le necessità dei
cittadini con quelle della natura»), che questo
scienziato-artista cinquantatreenne che studia l'ecologia delle
piante da ombra
al Cnrs (Centre national de la recherche scientifique) e insegna «le
strategie che consentono alle piante di usare solo una frazione
di luce per elaborare complesse ministrategie di adattamento» all'università di
Jussieu (Paris IVe), racconta di voler portare i suoi muri
vegetali nelle periferie parigine dei disordini del 2005, e
in altri
luoghi urbani deputati al brutto come tunnel, parcheggi e ferrovie.
Altrimenti il rischio è che la sua invenzione, esportata
già in oltre cento città da San Paolo del Brasile
a New York a Nuova Delhi a Seul, diventi appannaggio esclusivo
di designer d'intemi di lusso come Andrée Putman, con
cui Blanc ha realizzato la sala da pranzo dell'albergo Pershing
Hall, vicino agli Champs Elysées. «Ci pensi»,
protesta questa star della botanica che vive in una casetta
da mille e cento euro al mese nel sobborgo di Créteil
a Parigi, perché ha un giardino piccolo circondato da
grandi muri estemi su cui fare esperimenti. «Ho proposto
dei muri vegetali per case popolari, in cui nel raggio di 50
centimetri dalle finestre la gente possa mettere le piante
che vuole. Sono sicuro che una cosa del genere creerebbe più dialogo
tra le famiglie e qualche scambio, ma nessun architetto mi
ascolta!», protesta. Azzardiamo che i costi di manutenzione
potrebbero essere un problema. «Ma no! Mantenere i muri
vegetali costa molto meno che mantenere un piccolo giardino».
L'altra ambizione di Patrick Blanc, che lavora senza studio
e senza assistenti («In Europa riesco a lavorare senza
muovermi da Parigi, se voglio, perché conosco le piante
che posso usare e le persone di cui fidarmi per la realizzazione.
Altrimenti vado dove mi chiamano, disegno il progetto e scelgo
le piante dai vivaisti locali»), è di far crescere
i suoi giardini verticali a ridosso dei grattacieli. «Ho
sempre adorato la città», dice, ricacciandosi
in tasca le sigarette alla menta. «Tutto quello che
desidero è portare
la natura fuori dall'uscita della metropolitana. E alla mia
maniera ho imparato a farlo senza sottrarre spazio agli esseri
umani. Non è una cosa da poco, le pare?».
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Un
particolare del muro vegetale realizzato a Parigi
da Patrick Blanc al Pershing Hall
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Senza
studio e senza assistenti riesce a lavorare in tutto
il mondo.
Ha ricoperto musei come il Quai Branly e hotel di lusso,
ma vuole intervenire su metropolitane, parcheggi e periferie
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