Scompare una personalità singolare, divisa
tra interessi filosofici e amore per i balconi fioriti
Ippolito Pizzetti l'avrebbe portato via il vento, gracile e
leggero com'era. Magari quel vento che batteva sulla terrazza
della sua casa presso Ponte Milvio. Anche il suo corpo, negli
ultimi tempi, esprimeva una delicatezza settecentesca. Era
nato con la musica ed aveva trascorso la giovinezza nell'ambiente
internazionale del padre, il celebre lldebrando. Aveva parlato
il tedesco prima dell'italiano. Eppure in patria era noto
soprattutto tra la cerchia di quanti precocemente avevano
avvertito l'importanza di conoscere e difendere il paesaggio.
Quando lo invitai a tenere una lezione all'Accademia di Architettura
di Mendrisio, mi sorprese la sua grande popolarità.
Prima della lezione dovette rilasciare tante interviste da
stremarlo. Per anni aveva tenuto alla radio della Svizzera
italiana conversazioni di successo, alternando spunti di letteratura
ad amabili consigli di giardinaggio e di balconi fioriti. Un'idea
delle sue virtù di garbato comunicatore e osservalore
lucidissimo delle trasformazioni sociali, si può ricavare
dal piccolo volume, Naturale inclinazione, che raccoglie i
suoi i interventi su «Golem», una rivista online.
Ma i lettori meno giovani ricorderanno le sue rubriche sul «Corriere
della Sera» e sull'«Espresso».
II tema che trattò a Mendrisio era un approdo importante
della sua riflessione. Lo preoccupava la relazione del giardino
con l'identità del luogo. Perché, chiedeva, gli
eucalipti sulle nostre coste?
Il
mio primo incontro con Ippolito Pizzetti fu quando era assistente
di Natalino Sapegno all'Università di Roma.
Ancora non aveva scoperto la sua vocazione profonda, che fu
quella di dedicarsi interamente, ma con grande dispersione
di energie, allo studio storico del giardino e alla creazione
di nuovi giardini. Le sue idee sono sparse in libri di piccolo
formato e di scarso peso: Il libro dei fiori (1968); Piccoli
giardini, uscito poco dopo. Difficile, ad una lettura superficiale,
rendersi conto della densità di cultura che ha dentro
una scrittura apparentemente svagata. Fondato nella cultura
tedesca, Ippolito Pizzetti sapeva bene come il giardino potesse
incarnare un pensiero. Non a caso il giardino reale di Hannover è stato
disegnato da Leibnitz. Non lo sorprendeva il disagio di Rousseau
di fronte al giardino del suo tempo, che il filosofo ginevrino
trovava addirittura diseducativo per la presenza delle statue
lascive degli dei. Eppure non era un purista come gli improvvisati
architetti paesaggisti. Il giardino era il luogo delle convergenze
dell'Oriente e dell'Occidente. Così era stato quando gli inglesi
tradussero nella loro terra l'idea cinese di un giardino apparentemente
naturale, così fu quando gli olandesi, da una parte, e i papi
e i Medici, dall'altra, si sforzarono a importare e acclimatare
le piante esotiche. E così negli scritti di Ippolito
Pizzetti un fiore è guardato con la meraviglia della
prima scoperta, goduto nella sua sensuale bellezza, ritrovato
nelle sue ascendenze mitologiche greche e latine, ma con la
dedizione di un poeta cinese. Sembrerà, dunque, che
il professore a contratto della facoltà di Architettura
dell'Università di Ferrara (questo era il suo ultimo
impegno pubblico, dopo una vita al di fuori delle carriere
accademiche) inducesse gli allievi a frequentare innocue piacevolezze.
In realtà non fu cosi.
Ricordo
una passeggiata con lui lungo il viale di una città veneta.
Dimostrò come fosse stata sbagliata la scelta degli
alberi, quali fossero malati e perché. Era verde pubblico,
e un vero fervore ecologico sosteneva la moralità degli
studi di Pizzetti. La sua idea di giardino privato corrispondeva
singolarmente al programma didattico di uno dei grandi direttori
di museo tedeschi dell'Ottocento, Littwach, di Amburgo, che
si spese a rivalutare la fotografia spontanea contro quella
di studio, e il giardino non convenzionale contro la sua realizzazione
piccolo borghese.
«
Creare un giardino - ha scritto - è creare un'opera
d'arte di cui tutti possono essere capaci. Basta avere spirito
di osservazione e passione. Molto importante è imparare
a osservare l'opera della natura, a notare le associazioni
spontanee, ad apprezzare l'armonia». Un'arte di corte
era proposta come un arte democratica a tutti accessibile.
Ma quanta sapienza è necessaria per rispondere ai requisiti
richiesti! Negli anni aveva raccolto un'eccezionale biblioteca
di botanica e di arte di giardino, con testi rari e introvabili,
senza dubbio la maggiore videoteca specializzata italiana,
da affiancare a quella di Dumbarton Oaks negli Stati Uniti.
Ne fece dono alla Fondazione Benetton - Studi e Ricerche, dando
con questo gesto un contributo fondamentale a questa branca
di studi, uno strumento importante per affiancare la cultura
paesaggistica di progettisti, amministratori della cosa pubblica,
come di chi voglia trovare nella storia
dell'estetica del giardino, dai babilonesi ai romani dagli
arabi al nostro Rinascimento, il senso profondo delle età passate.