GIARDINI
PRIVATI OGGI
di Pietro Porcinai
Questo
testo (tratto da 'I giardini del XX secolo: l'opera di Pietro
Porcinai) è stato rintracciato nell'Archivio Porcinai
da Anna Porcinai, senza indicazioni relative all'epoca e all'occasione
della sua elaborazione. Si può ritenere composto verso
gli anni sessanta.
Si
può dire che il giardino, pubblico o privato, è
ancor oggi l'anello di congiunzione fra l'uomo e
la natura: stato intermedio, cioè, fra l'aspetto naturale,
spontaneo del mondo terrestre e la "creazione" umana.
La natura (o parti, elementi di essa) "addomesticata",
in altri termini.
Ancora più del giardino pubblico, peraltro, è
ricco di delizie quello privato, e tanto più intimo del
primo, in quanto al godimento visivo o fisico del giardino in
sé, si aggiunge il piacere "creativo":quello
cioè, da parte dell'uomo singolo, di poterlo comporre
a proprio uso e piacimento, secondo il proprio talento e le
proprie esigenze; di collocarvi le piante e di farle crescere,
di inserirvi spazio, colore, forme sulla misura del proprio
gusto; di farne, in altri termini, un mondo personale del quale
vivere, isolarsi, astrarsi, godere di se stessi.
L'hortus conclusus, insomma, da aprire a chi, e come,
e quando meglio ci creda.
Uscendo da una visione così ristretta ed esclusiva si
può aggiungere che nella nostra epoca angustiata il giardino
privato può divenire mezzo efficace per vincere e colmare
quel senso diffuso e potente di scontentezza proprio della vita
dei nostri tempi, specie qual è nei paesi a civiltà
industriale e che bene può identificarsi con un termine
attuale (anche se ripreso da Carlo Marx): l'alienazione. La
quale alienazione altro non è - secondo il filosofo Marx
- se non "la sensazione, conscia o inconscia, che fa l'uomo
estraneo alla propria natura fino al punto di non riconoscersi
o di aver vergogna di se stesso". Quando l'uomo, in altre
parole, è condotto ad attività estranee o contrastanti
con la propria natura.
Diversamente dall'attuale civiltà meccanica, la civiltà
per così dire "artigiana" non dava luogo a
siffatti complessi allorché l'uomo estrinsecava
le proprie inclinazioni o capacità attraverso un lavoro
congeniale alla propria personalità o era chiamato direttamente
a partecipare alla creazione delle grandi opere volute dai "committenti"
di allora (re, principi, papi, grandi casate, ecc.).
Nell'ambito della cosiddetta civiltà industriale, viceversa,
l'operaio è frequentemente costretto a forzare la propria
personalità, lasciando del tutto "disimpegnata"
la naturale capacità creativa e rimanendo pertanto "alienato",
perché indotto in un lavoro a lui estraneo. Di qui tedio,
scontentezza, aspirazione a forme di vita non identificate né
conosciute. E se è ravvisabile la "alienazione"
là dove l'uomo sia condotto ad attività lontane
dai propri motivi di esistenza (e spesso i più intimi
ed essenziali), ben si comprende quanto frequentemente oggi
ciò avvenga; e in questo alienarsi è da ricercare
la fonte di tanti aspetti negativi della nostra civiltà.
Se all'uomo è vietata la partecipazione diretta a forme
di creazione; se la stessa casa che egli abita, o che si fa
costruire, è pensata e fatta da altri, è giustificato
il disamore per ogni cosa "non sua" che lo circondi:
per l'ambiente, per la casa, per la città. Da questa
mancanza d'interesse (e l'interesse personale è, in ogni
caso, una formidabile spinta) nascono le abitudini volgari,
il cattivo gusto oggi prorompente, le brutte case, le brutte
città. Non dico tutto ciò per conformismo; già
nel lontano '42 nel corso di una lettura all'Accademia del Georgofìli
a Firenze, parlando delle case popolari che allora si costruivano,
dicevo una cosa che mi sembra tuttora valida: "Ma pochi
si sono accorti che di queste poche case il popolo non è
intimamente soddisfatto perché, pur trovandosi condizioni
igieniche migliori, si allontana dalla terra che rappresentava
per lui distrazione, benessere e vantaggi alimentari e diventa
materialista perché viene a conoscenza di nuovi bisogni
di vita che sono connessi alla nuova sistemazione logistica.
I piccoli orti annessi alle casupole abbattute avevano il vantaggio
di assorbire le cure e il tempo libero sia degli uomini che
delle donne e, nei periodi di crisi alimentare, riuscivano a
risolvere talvolta anche il problema di qualche pasto giornaliero;
nella nuova situazione, senza la terra, le donne dedicano le
loro attività ad occupazioni meno serie e tendono verso
una falsa vita che si allontana da quella più morale
che conducevano prima; mentre gli uomini, non più richiamati
dalle necessità del loro terreno, vivono fuori di casa
o tendono a dimenticare anch'essi le loro sane costumanze familiari".
Come, dunque, e dove cercare un rimedio? Dando all'uomo il piacere,
il gusto di manifestare le facoltà creative insite, più
o meno, nella stragrande maggioranza degli individui.
Si può ovviare a questo bisogno istintivo di creazione,
a questo innato desiderio di manifestazione attraverso una attività
"personale" qualsiasi, per modesta che sia, dando
all'uomo la facoltà di farsi un giardino "tutto
suo" e di lavorarci dentro a suo piacere? Credo fermamente
di sì: credo, almeno, che questo sia uno dei mezzi migliori,
fra quelli che ancora rimangono a disposizione dell'umanità
dei giorni nostri.
Ma non è, ovviamente, quello individuale - vorrei dire
psicologico - l'unico aspetto del giardino privato che conti:
c'è anche un aspetto collettivo ben chiaro agli abitanti
delle città: un aspetto che, per essere perfettamente
"in chiave" col linguaggio d'oggi, chiamerò
"sociale".
In
talune collettività religiose (certosini, trappisti),
pur nella regola severa dell'Ordine, è lasciata all'individuo
la facoltà di migliorare la cella, di coltivare l'orticello,
il giardino particolare in analogia quasi, con la preghiera
individuale; ma, come esiste anche la preghiera collettiva,
così è prescritto il lavoro collettivo nella fattoria
del convento.
Abbiamo visto come per l'individuo esista la possibilità
di "manifestarsi" personalmente nell'ambito del giardino
privato: analogamente, alla personalità "collettività"
dell'uomo moderno corrisponde il lavoro organizzato, di "équipe".
E sotto tale specie vediamo anche la funzione del giardino privato:
funzione che, in primo luogo, appare importantissima nei riguardi
dell'aspetto estetico della città, e tale da interessare
urbanisti, sociologi, artisti. Un portone si apre dalla pubblica
strada su un giardino: per incanto la strada sembra allargarsi,
diviene acquietante, come lo spalancarsi di una finestra in
una stanza buia. Piccoli giardini circondano le case: si ha
la subitanea illusione di essere trasportati in campagna; dalle
terrazze - minuscoli giardini pensili delle nostre città
- si sporgono fronde verdi, fiori colorati: l'effetto ne è
sempre piacevole, distensivo. La moderna urbanistica (meglio,
quella che
chiamo inurbanità dell'urbanistica") dovrebbe essere
grandemente interessata al giardino privato, elemento d'enorme
importanza nella città, per cui le associazioni, gli
enti, ed i più accorti fra i privati cittadini dovrebbero
lottare strenuamente per salvare questo superstite tratto di
autentica civiltà che è il giardino privato. Si
veda il deprimente effetto di certe strade di Firenze, un tempo
stupendamente allietate da alterne teorie di verdi giardini,
ed ora ridotte a monotone, asfissianti facciate di volgarissime
case.
Si ricordino (è un esempio fra mille) il sorridente aspetto,
deliziosamente verde, di Riccione di Rapallo, prima che le più
rozze e offensive assurdità edilizie venissero a rompere
l'armonico, tonificante ambiente offerto dalla moltitudine dei
parchi e giardini privati! E se è provato che un edifìcio,
di qualsiasi forma e altezza, ben contribuisce alla "urbanità"
di un ambiente cittadino ove sia munito di un adeguato "impianto"
di verde, possiamo di conseguenza proclamare che i committenti
di giardini privati devono a buon diritto essere considerati
benemeriti della collettività.
Se ne ricordino, pertanto, i politici e gli amministratori:
le imposte sui giardini sono, oltre che negative, ingiuste;
e perché il giardino privato non è ricchezza destinata
a generare altra ricchezza, e perché, soprattutto, esso
è da considerare piuttosto come un bene singolo producente
benefìci per l'intera collettività.
Vorrei sinceramente che la stampa, quotidiana e no, dedicasse
maggiore spazio ai problemi del giardino, che andrebbe trattato
alla stregua delle altre arti figurative, per essere espressione
non secondaria dell'architettura; non solo, ma che lo si considerasse
anche per quei valori qui brevemente accennati, e precisamente
per la sua grande importanza, oltre che estetica, psicologica
e sociale. Vorrei anche che i medici, gli igienisti, i biologi
suggerissero essi stessi con insistenza agli organi d'informazione
i motivi per cui il giardino s'impone con ampi titoli all'attenzione
di chi ha - o dovrebbe avere - a cuore la salute pubblica; che
ripetessero fino alla noia (meglio, fino alla convinzione piena)
come le piante siano il necessario completamento, in certo senso,
dell'uomo: semplicemente perché, mentre l'uomo, respirando
e lavorando, consuma ossigeno e produce molta anidride carbonica,
le piante per converso, producono l'ossigeno indispensabile
alla vita dell'uomo e assorbono ciò che egli produce
ed è per lui veleno: l'anidride carbonica.
Consideriamo
un'altra tra le innumerevoli eccezioni del giardino: il giardino
di fabbrica, Giardino privato anche questo? - Certamente. Voglio
dire che le officine, gli impianti industriali sempre più
presenti in ogni nazione, costituiscono un miglioramento estetico
dell'ambiente. No, non e proprio possibile. Vediamo anzi come
regioni bellissime e zone di per sé incantevoli siano state
e siano in continuazione deturpate, irrimediabilmente sciupate
dalla presenza di impianti industriali di diversa ampiezza:
capannoni, ciminiere, tralicci insidiano un po' dappertutto
quelle che furono splendide zone e meravigliosi paesaggi. Vogliamo
un esempio: si pensi alla massiccia e rapida, quasi frenetica,
industrializzazione di quella che fu la stupenda pineta di
Ravenna, di quelle che furono le poeticissime rive del canale
Corsini.
Nelle "aree depresse" (e, perché tali, finora
pressoché intatte e il più delle volte bellissime)
si insediano oggi, grazie ai particolari aiuti economico-statali,
imponenti stabilimenti, che addirittura modificano - e sempre
negativamenre - il paesaggio. Né il danno estetico è
il solo; ché spesso a quello s'accompagna il danno per
la salute dell'uomo, degli animali e delle piante, a causa
dei
rifiuti, gassosi e liquidi, sgradevoli e sempre nocivi. Potrebbe
il "Verde" pensato con gli stabilimenti e opportunatamente
disposto attorno e negli stabilimenti, ovviare in tutto o
in
parte tali inconvenienti? Certamente sì. Dovunque e
sempre il "Verde" (che anche in questo caso insisto
a voler considerare come giardino privato, proprio perche
del giardino
privato ha le funzioni, anche se non sempre le caratteristiche)
reca miglioramento, protegge, occulta, attenua, ingentilisce,
riuscendo il più delle volte ad armonizzare elementi
fra di loro contrastanti e stridenti. Ampie zone o cortine
di
"Verde" attorno alle fabbriche o fra mezzo
agli stabilimenti, recherebbero immenso giovamento agli uomini
che in quelli lavorano e salverebbe - giungerebbe magari a
migliorarlo!
- il paesaggio attorno. Ma quanti sono finora in Italia, gli
esempi del genere? Si possono, ahimè, contare sulle
dita. Bisognerebbe che i grandi industriali, gli amministratori
delle
grosse società, i finanziatori, dedicassero a questo
problema squisitamente umano del "Verde" legato
alle fabbriche, una piccola percentuale delle spese destinate
agli
ambienti di rappresentanza, alle sale di presidenza e agli
uffici. Ne trarrebbero immensi vantaggi di serenità e
di decoro, con aumento della potenzialità (quindi,
del rendimento) propria e dei propri collaboratori e dipendenti:
per non dire
del maggior prestigio che da una così sapiente sistemazione,
deriverebbe ad essi e alle loro aziende. La figura del "committente"
(di colui, cioè, che pensa alla creazione di
un'opera affidando ad altri la realizzazione e dando, peraltro,
al realizzatore
le migliori condizioni per l'attuazione dell'opera medesima)
ha avuto un'importanza grandissima nella storia dell'umanità
e delle arti in particolare, giungendo talvolta il nome del
committente ad uguagliare, se non addirittura a superare,
nella
memoria dei posteri, il nome dell'autore.
Quanti monumenti del passato non ci sono giunti tramandando
solo il nome del committente e non quello del loro e dei loro
autori? Fatte le debite proporzioni, anche nel nostro caso i
capi d'industria possono divenire essi stessi i "committenti"
e legare meritatamente il proprio nome ad opere degne d'essere
tramandate.
Voglio dire anche dell'importanza che il giardino privato potrebbe
avere nel campo dell'istruzione col favorire un diuturno accostamento
dei fanciulli e dei giovani alle forze vere e ai piccoli e grandi
misteri della natura, in un paese dove l'insegnamento delle
scienze naturali, quando addirittura non manchi, è puramente
teorico e spesso frettoloso, senza mai un accostamento diretto
alla natura stessa. E forse che - non lo dico per celia - l'osservazione
diretta della vita delle piante, della loro vita associata,
regolata da leggi perfette e meravigliose, non potrebbe divenire
occasione di salutari meditazioni anche per i politici e per
gli amministratori? (Ma quale politico, ahimè avrà
mai il tempo e la voglia, da noi, di osservare la vita delle
piante).
Una volta così stabilite alcune delle precipue funzioni
del giardino privato in ben precisi settori (come rimedio
all'alienazione,
come fonte di godimento estetico, come elemento di salvaguardia,
come garanzia di vita più salubre, ecc.), consideriamolo
infine per quello che più veramente e più d'ogni
altra cosa esso è: quale espressione di bellezza,
cioè,
quale schietta manifestazione d'arte. Come ogni fatto artistico
che si rispetti, anche il giardino dunque deve avere uno
stile
e rispecchiare, pertanto, le tendenze, il gusto, gli atteggiamenti
e la personalità di chi lo concepisce e lo crea.
La storia del giardino, com'è noto, ha sempre seguito
le alterne vicissitudini della storia degli uomini: dai
giardini pensili
di Babilonia a quelli di Plinio, dagli "orti" imperiali
ai giardini del Rinascimento, ai parchi reali e nobiliari,
ai
modesti giardinetti borghesi del primo Novecento, alla "terrazza"
sul tetto del grattacielo. Ovviamente il giardino moderno,
frutto ed espressione del nostro secolo, non potrà in
alcun modo desumere dalle forme degli antichi giardini, anche
là
dove questi toccarono l'altezza del capolavoro; i capolavori
del passato, semmai, dovranno anche in questo caso darci la
"misura" di quei valori eterni e universali da raggiungere
attraverso forme nuove e originali, se pure ugualmente fondate
sul rispetto di leggi naturali immutabili (le stesse di sempre),
su principi estetici che la matematica stessa conferma. Principi
che si chiamano unità, proporzione, armonia,
principi che, nel giardino, godono per di più del sostegno
e dell'ausilio già di per sé perfetto delle
piante.
Di queste leggi, di questi principi, l'unità è
forse quella che più conta; e la troviamodivinamente
profusa nei paesaggi, in quei "momenti" della natura
che hanno il potere di suggestionarci e di commuoverci: unità
nel senso di equilibrio sapiente di elementi anche disparati,
raccolti in un'atmosfera che tutti li avvolge e li amalgama,
quasi simbolo di quell'equilibrio supremo e immutabile al quale
tutti, più o meno consapevolmente, tendiamo. Questa unità
è necessario sapere dare anche al giardino, sia per la
sua inserzione nel paesaggio, e sia perche il giardino possa
formare un "tutto" con la casa cui appartiene, e alla
quale dev'essere armonicamente legato, divenendone la logica
e ideale continuazione nello spazio aperto, nonché tramite
fra la casa e la strada. Inoltre, unità nell'ambiente
e nel clima, unità nel colore (intesa come sapiente e
vasta considerazione di un insieme che va molto al di
là dei confini del giardino stesso). E chiaro, a questo
punto, che tale concetto investe da presso anche il concetto
di armonia, poiché solo in virtù di una
sottile e sensibile gamma di accordi e di armonizzazioni potrà
raggiungersi un effetto "unitario": accordi, si capisce,
con le architetture, con l'ambiente, anche e soprattutto con
l'ambiente botanico circostante, grazie a quei fondamentali
e imprescindibili princìpi di associazione fìtosociologica
di cui la natura ci fornisce sovente esempi magistrali. E altrettanto
evidente che in questo caso l'armonia sarà suggerita,
più che da precise leggi, dall'intuizione, dal gusto
e dalla sensibilità di chi pensa e disegna il giardino.
S'intende che l'unità non vuoi dire uniformità:
che anzi la più grande varietà di essenze, di
forme, di colori, potrà essere utilmente impiegata, e
se ne potranno cavare quegli effetti d'armonia e, appunto, di
unità, sempre che siano presenti e attivi quel gusto,
quel senso della misura, quell'equilibrio di cui dianzi si diceva;
cui non nuocerà nemmeno un tocco estroso di originalità.
Per cui anche un piccolo giardino (non sono necessarie, ovviamente
grandi superfìci) potrà raggiungere effetti d'intensità
non inferiori a quelli dei grandi giardini del passato (nei
quali il senso unitario era soprattutto fornito dall'impianto
assiale e dai collegamenti con la casa, in funzione, quindi,
architettonica): nel nostro giardino moderno, invece, varranno
allo scopo anche poche piante ben disposte, oltre a un accorto
dosaggio di colori.
Il concetto leonardesco della "divina proportione"
ben si addice al giardino (né va dimenticato che l'invenzione
"scientifica" del giardino è di marca squisitamente
rinascimentale). La proporzione, dunque, che ben accorda
- spesso confluendo in essi - con i già chiariti concetti
di unità e di armonia; ma che ha anche sue proprie e
ben precise esigenze, le quali, nel caso nostro, si identificano
in termini di misura e di rapporto. Al fine di non scivolare
troppo nel diffìcile, si dirà qui che la proporzione
(cioè la misura esatta del giardino) sarà
determinata dal rapporto, ancora una volta, con l'ambiente circostante
e con l'uomo stesso, e che avrà alla base una visione
che vorremmo chiamare "prospettica"; per essere ancor
più chiari, si dirà che mediante una giudiziosa
distribuzione degli spazi e delle masse, mediante equilibrati
"giochi" di luce e di ombra, mediante studiati rapporti
di toni, si potranno ottenere straordinari
effetti di "ingrandimento" o di "rimpicciolimento"
del giardino a seconda delle diverse necessità ad esigenze:
si potrà creare, in altri termini, quella felice illusione
prospettica, elemento principale di molti capolavori del passato.
Una sorta di "spazio ragionato", insomma, con quel
tanto di "invenzione scenica" che certamente non guasterà.
Avviandoci a conclusione, dirò che il giardino moderno
dovrà essere concepito come luogo di vita, di lavoro,
di riposo, di distensione: l'antica ed eterna aspirazione dell'uomo
al "rifugio", all'hortus conclusus,
potrà in esso identificarsi e acquietarsi. Alla guisa
degli antichi "verzieri" che occhieggiano sullo sfondo
delle tavole e degli affreschi fiorentini del '400, sarà
come - mi si consenta l'apparente paradosso - "una stanza
all'aperto"; con tutte le funzioni cioè di una stanza,
ma con in più un'ampia visione di spazio; dovrà
salvaguardare l'intimità e, nello stesso tempo, non precludere
i rapporti col mondo esterno (rapporti discreti, pertanto, ma
non ostili: non muri altissimi, quindi, ne pesanti cancellate).
Sì che esso appaia, infine, come diaframma e mediazione
ad un tempo.
Vorrei, fra i princìpi e le leggi che presiedono alla
creazione di un bel giardino, insinuare un altro concetto
teorico (più che concetto, forse, posizione morale):
l'umiltà.
L'umiltà, cioè, del costruttore - o ideatore che
sia - il quale mai dovrà cercare di sopraffare con la
propria invenzione ciò che gli sta davanti e attorno;
né mai dovrà soverchiare con la "forma"
del suo giardino le forme naturali in cui il giardino stesso
si inserisce: in modo, poi, del tutto particolare se il giardino
nascerà in un ambiente paesistico, urbanistico o architettonico
di per sé ragguardevole. Dal che nasce la necessità,
per esempio, di adattare il giardino con assoluta semplicità
in un armonico paesaggio; dove gli alberi esistenti non dovranno
in alcun caso essere abbattuti, ma considerati invece nel "piano"
del nuovo giardino con, al massimo, qualche diradamento o sfoltimento;
né la forma del terreno dovrà essere violata,
in quanto è il giardino che dovrà ad essa armoniosamente
adattarsi. E quanto maggiore sarà la problematica proposta
da una situazione naturale preesistente, tanto maggiori saranno
l'impegno del progettista nel risolvere - adattandoli a quella
problematica; e non distruggendo quest'ultima per incapacità,
pigrizia o faciloneria - i problemi specifici del giardino.
Giardino che dovrà essere considerato, infine, anche
nel tempo: sua condizione determinante e definitiva.
Se ogni altra opera d'arte - architettura, scultura, pittura
- una volta condotta a termine, può e deve essere considerata
definitiva, compiuta e immutabile, il giardino dovrà
tener conto, invece, della mutabilità degli elementi
che lo compongono, in quanto piante, alberi,
fiori, crescendo, ne cambieranno sensibilmente e magari sostanzialmente
l'aspetto: chi fa un giardino, quindi, dovrà anche saperlo
vedere come sarà, e proiettare la propria azione verso
il futuro. Dirò perciò che il tempo è,
per il giardino, la "quarta dimensione".
Se finora si è parlato del giardino in sede teorica,
quasi fìlosofìca, non saranno inutili, a completare
il quadro, alcuni cenni che potrei chiamare "tecnici".
Dirò, pertanto, che se il giardino dovesse sorgere in
una zona industriale, sarà di fondamentale importanza
l'accordo fra i diversi proprietari delle fabbriche per l'impiego
a giardino di aree di comune possesso: sì che i diversi
giardini possano formare una specie di "intergiardino",
organicamente e armonicamente concepito, pur col massimo rispetto
della "personalità" di ciascun giardino (una
felice concordia discors). In questo caso non si dovranno
impiegare piante e fiori delicati o facilmente danneggiabili,
bensì alberi e arbusti resistenti, siepi, ecc.
Varrà sempre e comunque, naturalmente, una saggia considerazione
economica, per cui un attento progettista, per non incorrere
nel dispendioso "fare e disfare", terrà conto
in partenza di tutti i presupposti di ambiente, di terreno
(limitare
al massimo i movimenti del terreno!), del carattere, del gusto
del committente. Se si fa un giardino per bambini, si terrà
presente il fatto pur naturalissimo, che i bambini crescono;
e si concepirà il giardino in modo da renderlo adatto
ai bambini anche quando saranno divenuti uomini. Al fine
della
manutenzione (e quindi del costo), si terrà presente
che sono di più facile e meno costoso mantenimento
i giardini con boschetti, con molti arbusti, con prati da
falciare
solo due volte l'anno, con superfìci pavimentate. Se
ben pensato e studiato, il giardino richiederà anche
una manutenzione meno impegnativa; ma ci si ricordi, comunque,
che un giardino non suscettibile di essere modificato nel tempo
(necessità, quindi, anche, di concetti elastici)
non darà mai intera soddisfazione. Nella manutenzione,
sia del "Verde" pubblico che di quello privato,
si terranno soprattutto presenti i provvedimenti atti
a mantenere
l'indispensabile equilibrio tra gli elementi vegetali, affinchè
i più grossi e forti non sopraffacciano i più
deboli (potature, estirpazione d'erbacce, diradamenti, ecc.);
si terrà conto delle sempre più efficaci conquiste
della tecnica, tali oggi da consentire brillanti risultati:
dall'irrigazione a pioggia automatica o semiatomatica che allevia
l'opera manuale del giardiniere, all'uso dei terricci "universali",
validi cioè per ogni tipo di pianta, da quelle maestose
dei parchi alle modeste pianticelle in vaso della terrazza.
E si potrebbe continuare all'infinito.
Voglio ora raccogliere alcuni preziosi suggerimenti dell'esperienza
mia ed altrui in una specie di piccolo codice da tener presente
in ogni caso, e utili in ogni tempo, luogo e spazio. Eccoli:
1)1 toni azzurri e grigi ingrandiscono il giardino; caldi e
forti lo fanno apparire meno vasto.
2) Le piante debbono armonizzare non solo con la casa, ma anche
con l'uomo che in essa dimora.
3) II senso dell'ampiezza è suggerito da molte piante
e da pochi spazi. Più grandi sono gli alberi, tanto maggiore
è il senso dell'ampiezza.
4) Una grande profusione di piante produce intimità.
5) Troppi fiori, se non perfettamente disposti, nuocciono alla
"forma" del giardino.
6) I fiori nulla aggiungono al disegno del giardino; ma la loro
scelta è lo specchio vivente della personalità
di chi ha fatto il giardino e di chi lo possiede.
7) Se si piantano alberi vicino alla casa, non si pianteranno
mai i sempreverdi (cedri, pini, magnolie) a Sud: toglierebbero
il piacere del sole durante la stagione fredda.