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Piante esotiche
Fin dal I secolo a.C, i romani importarono in Italia dal Mediterraneo orientale
e dal Medioriente nuove specie fruttifere, come ciliegi, peschi, albicocchi,
pistacchi, susini, nespoli e agrumi, e ben presto queste piante arrivarono anche
nelle nuove terre di conquista dell'Europa occidentale. Secondo Plinio il Vecchio,
i ciliegi arrivarono in Italia dal Mare Nero nel 74 a.C. e in 120 anni riuscirono
ad attraversare l'oceano e ad arrivare fino in Britannia (Historia naturalis,
15.102 ).
Verosimilmente le piante mediterranee da esportare nelle province settentrionali
venivano cresciute in vaso. Autori romani descrissero metodi di riproduzione
per margotta di alberi e piante cresciuti in vasi di terracotta
forniti di fori
di aerazione per le radici (Plinio, Historia naturalis 12.7.16).
In Italia, nell'Europa continentale e in Britannia gli scavi archeologici condotti
in molti giardini di epoca romana hanno portato alla luce vasi di terracotta
con il fondo forato. Questo permetteva una coltivazione su vasta
scala,
sia
in
vivaio che 'a casa propria', di giovani alberi e arbusti facilmente trasportabili
in giardini di nuovo impianto. I vasi erano spesso di produzione locale, che
riforniva i vivai della zona. Il fatto che fornaci di latterizi nella regione
di Eccles,
Kent, producessero vasi di questo tipo subito dopo la conquista sta a indicare
l'importanza dei giardini per i romani.
Coltivazione di piante alimentari e medicinali
I risultati delle ricerche archeobotaniche sui resti vegetali, (particolarmente
sul polline capace di conservarsi nei sedimenti per decine di migliaia di anni)
ha indicato che specie provenienti dall'Europa meridionale, dall'Asia e dall'Africa,
quali cetriolo, coriandolo, gelso, aneto e finocchio, sono state introdotte
nella nostra isola in epoca romana. Semi di piante come aneto, sedano e coriandolo
sarebbero potuti essere importati in gran quantità per uso culinario
o
per scopi medicamentosi.
Sono stati trovati anche datteri e fichi, che probabilmente non furono coltivati
ma importati come frutta secca.
Per converso, poiché le more sono frutti delicati e deperibili e non
sopportano lunghi trasporti, quelle trovate in siti romani a Londra,
Silchester
e York,
molto
probabilmente provenivano da gelsi (Morus nigra) coltivati in orti
e
giardini locali.
Alcune piante venivano coltivate per le loro proprietà medicinali. Le
radici di Helleborus niger erano considerate medicamentose
e
le
noci
efficaci contro la tenia. Polline di Malva neglecta (malva
comune) trovato
in depositi di liquame presso l'accampamento romano a Bearsden in Scozia indica
che questa pianta, usata come rimedio contro indisposizioni dello stomaco,
stipsi e tossi, veniva coltivata sul posto nel II secolo d.C.
Analisi fisica del terreno
Riconoscere il tipo di terreno formatosi dove sono state
coltivate piante da
giardino può essere difficile, specialmente se si parte dalla convinzione
che
la
terra da giardino debba essere forzatamente fine, scura e umica, mentre molto
spesso
non lo
è.
Per esempio, il terreno del cortile antistante la villa romana di Chedworth,
risalente all'inizio del IV sec. d.C. variava in colore dal marrone chiaro, all'ocra,
a un marron nerastro. Vi si trovarono frammenti di cocci, ossa di animali,
conchiglie di ostriche e di lumache, pula e grani di frumento, gusci di noce,
chiodi di
ferro e detriti edilizi. Il terreno proveniente dalle aiole che fiancheggiavano
i sentieri di passaggio nel cortile di una villa romana presso Frocester nel
Gloucestershire, anch'essa risalente ai primi del IV sec. d.C. conteneva più o
meno le stesse cose, oltre a manufatti in osso.
Gli autori romani raccomandavano tutta una serie di fertilizzanti,
come sterco di piccione, paglia, lolla di grano, stelo di fagiolo, letame,
escrementi
umani,
conchiglie
e alghe marine. Per la maggior parte essi sono di difficile identificazione,
tuttavia gli studiosi hanno riconosciuto molluschi, alghe marine (e altro materiale
proveniente da lidi marini), presumibilmente usati come ammendanti del terreno,
in un sito archeologico romano nei pressi di Colchester. Il fatto che frammenti
di vasi di coccio, di solito molto scrostati e usurati, siano ritrovamenti
comuni
nei terreni coltivati fa supporre che il compostaggio degli scarti di cucina,
ivi compresi cocci di vasellame, fosse una pratica ampiamente duffusa.
I giardini, dunque, erano estremamente importanti per gli antichi romani. sia
che vivessero in un affollato spazio urbano che in aperta campagna.
Gli studi archeologici delle terre che un tempo facevano parte dell'impero romano
dimostrano che i giardini erano considerati parte essenziale della casa romana,
e dunque della civiltà romana in generale.
C'è ancora molto lavoro di ricerca da portare avanti,
tuttavia è dimostrato
che i giardini romani furono introdotti in Britannia nel I secolo d.C., quasi
immediatamente dopo la conquista, e che continuarono ad essere una parte integrante
delle aree abitative fino al IV secolo inoltrato. Solamente con il declino dell'impero
romano, verso la fine di quel secolo, questa tradizione decadde e l'arte dei
giardini si eclissò per riemergere secoli
dopo, con l'avvento
dei primi monasteri cristiani.
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Ricostruzione
del complesso di Frocester nel Gloucestershire,
comprendente
la villa e i suoi ampi giardini, come doveva essere nel IV secolo d.C.. |
Esempi
di giardini
di epoca romana, ricreati e ripiantati, si possono
visitare al Roman Palace
di Fishbourne, vicino a Chichester, West Sussex,
e nel Corinium Museum a Cirencester,
Gloucestershire.
I migliori esempi di ricostruzione di giardini
romani si trovano vicino a Napoli, specialmente a
Pompei e a Ercolano.
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Maureen
Carroll è un'archeologa, specialista
di giardini dell'antica Roma, autrice di:
Earthly
Paradises: Ancient Gardens in History and Archaeology (The
British Museum Press, 2003 (£14.99).
Vengono esaminate le prove fisiche
e documentali dell'esistenza di giardini e delle tecniche
di giardinaggio presso antiche culture (in Egitto,
nel Medioriente, in Grecia e nell'Impero Romano).
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