Buon compleanno
25 anni con Gardenia
(Gardenia, maggio 2009)
Il mondo del verde in questo quarto di secolo è cambiato. Così come i gusti e gli atteggiamenti degli italiani nei confronti della natura e del giardinaggio. Ma in meglio o in peggio? Lo abbiamo chiesto a paesaggisti, florovivaisti ed esperti del settore. Ecco le loro opinioni, anche in merito al ruolo svolto dalla nostra rivista
Renzo Crescini
Fondatore e titolare del Vivaio Valfredda.
Agli inizi degli anni Ottanta i giardini erano fatti di foraggio e orto, vale a dire che la terra serviva a produrre alimenti: il foraggio era destinato agli animali, l'orto e il frutteto alla mensa familiare. Con il passare degli anni ci siamo arricchiti un po' tutti, e sono quindi nati i giardini 'da mostrare', veri status symbol poco pensati e poco amati. Oggi finalmente si fa giardinaggio per il piacere di farlo e il passaggio tra il giardino da mostrare e il giardino consapevole è segnato dalla passione, cioè dal piantare per soddisfazione e non per apparire.
La cultura del verde si è evoluta di pari passo: venticinque anni fa si parlava soltanto di stile inglese, di mixed border, di rock garden; il Nordeuropa era un punto di riferimento per tutti. In questi anni si parla di giardino colorato, sta emergendo un gusto tutto italiano grazie a noi vivaisti, che proponiamo e sperimentiamo prodotti di qualità adatti ai nostri climi — e ultimamente anche ai cambiamenti climatici in atto — e grazie a una rivista come la vostra, che si è impegnata a fondo per far conoscere e sognare attraverso scritti e immagini”.
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Lo rifarei, esattamente uguale
Francesca Marzotto Caotorta, primo direttore di Gardenia, ci racconta la passione, le scelte e le difficoltà degli inizi. A cominciare dalla ricerca di fotografi capaci di ritrarre i giardini |
Gardenia si sfoglia e non sfiorisce. Su questa affermazione si basava la campagna pubblicitaria ideata da Anna Maria Testa, per la nascita di un periodico di giardinaggio tutto nuovo che ho ideato venticinque anni fa e che, con mia stessa sorpresa, rifarei uguale, anche a una generazione di distanza. Anche se oggi pare cambiato il mondo. A cambiare è stato il mondo delle cose: non quello delle piante. Anche oggi ci ritroviamo e ci riconosciamo tra quegli stessi noi a cui mi rivolgevo nella presentazione del primo numero. «Tutti noi che, per le più svariate ragioni, abbiamo un legame prediletto con il mondo delle piante o che, per balzana e personale alchimia, le abbiamo scelte come mediatrici tra noi e la vastità dll'universo: il loro modo di comunicare tacito e deciso ci appaga... Gardenia è nata per dialogare con tutti: per chi sa e per chi vorrebbe sapere».
Il tutto accompagnato dalla convinzione che il raccontare di piante non si limitasse a quelle da coltivare in giardino e nell'orto ma che comprendesse le piante in casa, e nei Paesi lontani, le piante e la storia dell'arte dei giardini. Le piante in cucina e nella letteratura come nella pittura. Il loro rapporto con il mondo animale. Cosa succede sopra, e sotto terra. Mettere tutte queste idee in forma scritta e illustrata è stata una bella avventura, quando per ricevere un fax di una illustrazione dall'Inghilterra, bisognava andarlo a ritirare alla posta centrale di Segrate, sede della Giorgio Mondatori. Non c'era fax, non c'era mail. E non c'erano tante altre cose.
I primi fotografi botanici
Pochissimi i fotografi che sapessero fotografare un giardino in modo da dare informazioni a chi era più interessato al fare giardini e meno alla bellezza della foglia in trasparenza. O alla massa di una fioritura che “fa pagina”, ma non racconta più che tanto. Così appena possibile seguivo i fotografi mostrando quello che, in quel giardino, avrebbe interessato noi, più che i loro colleghi. Data la mancanza di foto “mediterranee”, si prendevano immagini dall'estero alimentando, nostro malgrado, l'idea che solo i giardini inglesi potessero essere elevati a modello. Se poi si cercavano qui le piante che facevano belli quei giardini, non si sapeva a chi rivolgersi.
Poverissima era la media dei cataloghi dei vivaisti italiani. Quando pubblicai un servizio sulle fucsie, l'unico vivaio che le aveva nel Nord Italia, le vendette tutte in un giorno. Altri chiedevano: «Fucsia, che è?». Cartellini con denominazioni precise erano inimmaginabili. E così che vivai come Degl'Innocenti, Margheriti, Mati, Monti, Pozzi di Biella, Ingegnoli, Sgaravatti, Piacenza erano considerati templi del sapere e assoluta era la gratitudine per chi li teneva in vita. Si creava tra di noi una sorta di fratellanza Carbonara, per il solo fatto di poter parlare di piante spontanee e no, o di giardini, senza essere visti come quegli “esageratiiii”.
La parola paesaggista evocava più che altro pittori di paesaggi. Benché Pietro Porcinai facesse sentire ancora la sua voce in materia, molti giardini erano fatti dai vivaisti, che era un po' come se le case le facessero i produttori di piastrelle: ovvero, ovunque le piastrelle in catalogo. Benché ancora non ci sia una scuola di paesaggismo ai livelli europei (che non sia un ramo di architettura o di agraria), tanti sono i bravi paesaggisti. E tanti, tantissimi, i vivaisti attenti e colti. Li abbiamo visti crescere ogni anno, in occasione di mostre come Masino e Orticola dove si trovano le tante specie di uno stesso genere. Dove si può contare su denominazioni esatte. Dove le collezioni sono frutto di ricerche da pionieri. Dove si percepisce l'evolvere del gusto e il crescere della comunità di giardinieri appassionati. Appassionati, da quel tipo di passione che ogni crisi fa più acuta.
Francesca Marzotto Caotorta
Giulio Crespi
Architetto e paesaggista |
Fra i tanti motivi che hanno determinato un mutamento positivo, devo sottolineare l'apertura al pubblico dei giardini privati, grazie anche alla nascita di organizzazioni come il Fai e i Grandi Giardini Italiani, e l'impegno di televisione e giornali non specialistici, che hanno diffuso la cultura ovunque e in tutti gli strati sociali. Negli ultimi anni c'è stata inoltre una importante evoluzione ambientalista ed ecosostenibile. Si è rotto lo steccato che divideva l'eccessivo ecologismo e l'eccessivo giardinismo e si è compreso finalmente che l'azione deve essere sinergica. Si è capito cos'è un giardino selvaggio, formato da erbe, e cos'è un giardino fiorito, ovvero un mix di varietà da sperimentare, una opportunità per migliorare la qualità della vita. Gardenia negli ultimi anni lo ha intuito prima degli altri, e ha puntato alla sintesi naturale: il giardino produttivo, l'orto fiorito, il balcone con gli ortaggi e gli aromi da cucina”.
Arturo Croci
Fondatore e direttore della rivista Fiortecnica
In questi anni si è verificato, come in altri settori, un appiattimento dell'offerta, ma il consumatore ne sa in generale di più, e i veri appassionati ci sono ancora. I numeri parlano da soli: quando negli anni Settanta sono uscito dalla Scuola di ortofloricoltura di Minoprio, in Italia si producevano 100 mila kenzie all'anno, oggi sono 3 milioni; le specie e le varietà coltivate erano un centinaio, oggi soltanto le specie sono più di 1.500. Nel 1974 venne aperto il garden center Ansaloni, il primo in Italia: oggi ce ne sono 7.000. L'Italia, con 2,5 miliardi di euro di fatturato, è diventata il maggior produttore vivaistico europeo, prima di Germania, Olanda — che mantiene il primato della commercializzazione — Francia e Spagna”.
Angelo Naj Oleari
Botanico fondatore de Il Centro Botanico |
Quando nel 1975 aprii il primo Centro Botanico, quello di via dell'Orso, Milano era un città d'arte, una città dove c'era spazio per la creatività, e la moda non si era ancora espressa più di tanto. Abbiamo dato voce a qualcosa di cui non si sapeva nulla: le piante, la natura e il giardino, organizzando mostre con specie allora sconosciute, ricerche di oli essenziali e profumi, corsi di giardinaggio con insegnanti speciali come Henry Cocker, Ippolito Pizzetti e Bianca Micheletta. Abbiamo venduto libri di botanica — come la famosa collana dell'Ornitorinco — e di giardinaggio inglesi, francesi e tedeschi; siamo stati rappresentanti di Hillier per alberi e arbusti, di Sutton Seeds per i semi, di Van Tubergen per i bulbi. L'Inghilterra era il mondo che sapeva come rapportarsi a piante e animali. La cultura in generale è migliorata, ma la gente guarda ancora alla vegetazione come a qualcosa di misterioso; per quanto riguarda il verde pubblico non c'è stata ancora una evoluzione positiva sensibile”.
Una sfida vinta con ironia e leggerezza
Annamaria Testa, pubblicitaria, autrice della campagna di lancio di Gardenia «L'idea mi ha molto incuriosita: un prodotto editoriale diverso, in una veste grafica — per l'epoca — curatissima e nuova.
È stata una bella sfida. Si trattava di raccontare la qualità del prodotto e la sua magia con un po' di grazia e leggerezza, ma anche dando conto della ricchezza dei contenuti. Il tutto con la sintesi necessaria a un manifesto, che deve avere un'immagine d'impatto, capace di colpire anche uno sguardo disattento, e poche parole che riescano — possibilmente — a dire molto. Ce la siamo cavata con un titolo a doppia lettura, che per certi versi è diventato storico, e con forbici, colla (non esisteva ancora Photoshop) e molta pazienza».
Quale era 25 anni fa la domanda di verde in Italia?
Da Paese di tradizione contadina, l'Italia non è mai stata particolarmente attenta al verde “non produttivo”, quello dei parchi, dei boschi e dei giardini. Fiori e piante, fino a un passato recente, sembravano essere faccenda da signore un po' frivole e anglofile, dotate di cestini e ampi cappelli di paglia. Qualcosa è cambiato, per fortuna. E credo che sia cambiato anche grazie a Gardenia. C'è un po' più di attenzione al verde, compreso quello pubblico. Si vedono balconi e terrazzi fioriti spuntare dappertutto. E soprattutto c'è la percezione, sempre più diffusa, che il verde sia un valore da proteggere, difendere e promuovere.
Che cosa si aspetta la gente oggi dal proprio giardino?
Di quali sogni ne fa il palcoscenico di elezione?
Il giardino è, per chi non lo percepisce solo come uno status symbol, un luogo dell'anima. Piccolo o grande che sia, è un posto dove il tempo rallenta, piccoli gesti acquistano un valore, luci e profumi cambiano in maniera naturale. Un giardino è un posto autentico, pacifico e generoso. Ho passato l'ultimo week-end tra una spalliera di gelsomini e alcuni cespugli di rose un po' malconci dopo l'inverno. Ho rimediato qualche graffio, ma conto, fra poco tempo, su una meravigliosa fioritura.
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I pionieri del vivaismo specializzato, colto e su piccola scala hanno alimentato passioni e ricerche |
Un quarto di secolo basta a ridisegnare la mappa del florovivaismo nazionale? Giudicando ciò che è successo dalla nascita di Gardenia a oggi, 25 anni in tutto, si direbbe di sì. Con il fenomeno dei piccoli vivai di qualità la produzione italiana di piante ornamentali ha perso la connotazione di attività essenzialmente contadina di scarso seguito per diventare una specializzazione raffinata e diffusa, che richiede conoscenze botaniche, interesse per la storia del giardino, rapporti di scambio internazionali, gusto collezionistico e competenze tecnicoagronomiche maturate spesso con una laurea. Non più contadini, e privi dell'ambizione di diventare imprenditori del verde su larga scala, i nuovi vivaisti sono comparsi sul finire degli anni Ottanta, anche sull'onda dell'interesse per i giardini e per le piante promosso ogni mese da Gardenia, e hanno trovato nelle mostre di giardinaggio lo sbocco professionale più gratificante. Rita Paoli, del vivaio fiorentino Paoli e Borgioli, racconta di aver messo nel cassetto la laurea in agraria per dedicarsi alle ortensie. In molti ricordano che arrivò a una delle prime edizioni della mostra di giardinaggio di Masino con un consistente carico di Hydrangea di specie e varietà mai viste; il sabato si rosicchiò le unghie con l'ansia di non farcela a vendere abbastanza per ripagare i costi della trasferta, ma al pomeriggio della domenica non aveva più un solo vaso e, unico caso nella storia di questa manifestazione, le fu concesso di andarsene con parecchie ore di anticipo sulla chiusura. E la gente da allora ha imparato ad amare le ortensie. L'esordio di un gran numero di talentuosi vivaisti è avvenuto così, rischiando in proprio nella convinzione di poter costruire un nuovo mercato amatoriale, talvolta anche per sfuggire alla prospettiva post laurea di lavori ripetitivi e burocratici. Le piante da giardino sono state una via di fuga vincente, continuano a regalare un'avventurosa vita quotidiana a vivaisti come Gianni Ricci ed Enza Romano (acquatiche Eta Beta), SusannaTavallini (La Montà, peonie e ranuncolacee), Andrea Antongiovanni (del vivaio Rhododendron), Adriana Balzi (Rose rifiorentissime), Maurizio Feletig (arbusti da bacca), e poi Alessandra Orsi, Davide Picchi, Fiorella Gilli, Angelo Paolo Ratto e a molti altri che hanno contribuito a ridisegnare la mappa del vivaismo nazionale e ad alimentare la passione di collezionisti e neofiti. Con poche defezioni avvenute nel tempo (Didier Berruyer e Massimo Bruatto, per esempio, hanno preferito dedicarsi all'attività di giardinieri) e purtroppo con pochi nuovi ingressi di giovani nella hit parade dei vivaisti nazionali di qualità. Sicché in tanti oggi si chiedono se il momento d'oro del vivaismo troverà continuità.
Mimma Pallavicini
Francesco Ingegnoli
Titolare dell'azienda Fratelli Ingegnoli
All'inizio degli anni Ottanta la cultura del verde era già tornata a un buon livello, quasi paragonabile a quello degli anni Trenta-Quaranta, periodo di grande fortuna, ricerca e cura per i giardini privati. Tuttavia in questi anni si è verificato, e si sta ancora verificando, un forte miglioramento, per quanto si sia ancora molto indietro rispetto a Germania, Inghilterra e Francia: oggi, a Milano, giardini e terrazzi fioriscono come non mai.
Grazie all'attività di educazione delle riviste, soprattutto da quando si è cominciato a parlare di una pianta quando è ora di metterla a dimora e non solo quando fiorisce, oggi più nessuno ci chiede i bulbi dei tulipani in primavera e vendere non è più un rischio, perché la gente sa come trattare le piante. I nostri clienti oggi ci chiedono soprattutto piante resistenti, a garanzia del loro investimento: in particolare arbusti sempreverdi a rapida crescita, per ottenere velocemente una barriera verde che procuri intimità; alberi da frutto nani, indicati per il vaso, come viti da tavola senza semi, ulivi da mensa e da olio, ciliegi, peschi e albicocchi; e ortaggi, un grande ritorno pure sui terrazzi grazie anche al loro valore estetico”.
Mario Margheriti
Titolare dei Vivai Torsanlorenzo. |
Il panorama è molto cambiato, e non solo in meglio. Venticinque-trent'anni fa si sapeva poco, per cui c'era molta voglia di conoscenza e molto entusiasmo. Con Ippolito Pizzetti, Paolo Pejrone, Guido Piacenza cercavamo piante in ogni angolo del mondo: tutto era nuovo, per noi, e meritava la nostra attenzione. Oggi è migliorata la produzione vivaistica — siamo i maggiori produttori d'Europa, per quantità e qualità, di specie mediterranee e alberi —, ma l'interesse generale sembra consumato. La grande distribuzione offre piante tutte uguali, standardizzate dall'uso dei brachizzanti, il che è un male, perché in natura ognuna è diversa dall'altra. E' inoltre decisamente peggiorato il verde pubblico: annullato il risveglio di quindici anni fa, quando vennero realizzati lavori importanti, oggi non si investe più. Se penso che invece abbiamo venduto un milione e mezzo di piante al sindaco di Istanbul... Poi qui si pota male, si pianta peggio, si trincia tutto: la figura del giardiniere del verde pubblico è di fatto sparita”.
Carlo Confidati
Cofondatore di Unopiù e fondatore del Centro Botanico Moutan
«L'idea di produrre mobili da giardino ci è venuta nel 1978, ma solo nel marzo 1985 abbiamo deciso di allegare il catalogo Unopiù a Gardenia. All'epoca il nostro più che un catalogo era un manuale e per questo editore e direttore della rivista hanno deciso di farne omaggio ai lettori. L'obiettivo, infatti, era comune: far crescere nelle persone, oltre alla passione per le piante e il giardinaggio, anche il desiderio di vivere il giardino, abitarlo come un'altra stanza della casa. Oggi gli appassionati sono molto preparati, in grado di riconoscere varietà rare e di coltivarle, vanno alle mostre-mercato, visitano giardini in giro per il mondo e sanno che per scegliere i mobili e i materiali adatti occorre tener presente l'ambiente e le specie coltivate. Ma questa cultura non basta, se poi, come succede, una parte del patrimonio italiano, così ricco di giardini storici, va in malora. Per questo importante anniversario lancio un appello: creiamo un'associazione o una fondazione che ridia vita e lustro ai parchi e ai giardini sparsi un po' in tutt'ltalia, e che attraverso parterre, collezioni di piante, viali alberati e fontane racconti la storia del nostro Paese».
Paolo Villa
Architetto resposabile dell'AlAP Lombardia
Negli anni Ottanta è successo tutto: sono nate Gardenia per il grande pubblico, Acer rivista destinata agli operatori del verde, e il nostro studio di progettazione, AG&P. C'era grande entusiasmo, allora, e mi sembra che oggi non siamo andati molto lontano: forse perché nel nostro Paese mancano punti forti di riferimento, come la scuola di paesaggismo di Versailles per la Francia e la Royal Horticultural Society per l'Inghilterra”.
Franco Bergamaschi
Fondatore de L'Erbolario di Lodi
Oggi, rispetto a venticinque anni fa, c'è una maggiore consapevolezza e una maggiore capacità di fruire della bellezza della natura, di un giardino o di un davanzale fiorito. La cultura del verde è cresciuta tantissimo, al punto che adesso si ha il piacere di riscoprire il gusto dei frutti antichi, custodi di un sapere centenario. Noi, per esempio, nel nostro piccolo ci siamo adoperati per costruire attorno alla sede della nostra azienda corridoi ecologici per l'avifauna. E tutto questo grazie anche a Gardenia: la gente si è come dire un po' sprovincializzata, si guarda oltre il proprio orticello, si osservano i grandi giardini italiani e stranieri”.
Cristiana Serra Zanetti
Botanica e paesaggista |
In questi venticinque anni la cultura del verde è, per quanto riguarda gli appassionati, molto migliorata e questo grazie alle riviste specializzate, che hanno segnalato al pubblico, in modo accattivante, le mostre e i vivai nati nel frattempo e le piante nuove per l'Italia, come i ciliegi da fiore e gli agapanti, determinandone la diffusione e la richiesta. Al contrario, il verde pubblico è peggiorato: i nostri parchi e giardini pubblici sono un disastro, rispetto sia al nostro passato sia a quanto avviene oggi all'estero, dove sono curati con un'attenzione superiore a quella da noi riservata ai giardini privati e con uno sforzo culturale ed economico colossale”.
Libereso Guglielmi
Allievo dei botanici Mario ed Eva Calvino
«In questi ultimi anni le persone cercano le piccole cose. Mi chiedono come si fa a seminare, piantare, moltiplicare per talea, e danno grande valore al creare anche un piccolo angolo, ma da soli. I libri attraggono meno: il giardiniere deve fare da solo e sperimentare. Io stesso, che ho ottantaquattro anni passati tutti in giardino, non dico mai «So, si fa così». L'esperienza mi ha insegnato che bisogna dire «Cerco di sapere, si potrebbe fare così», e qualunque cosa si faccia ha un valore, purché sia una ricerca. Una grande massa di gerani rossi, per esempio, può essere ammirata una volta, poi viene dimenticata. Un giardino roccioso (in Inghilterra ne avevo creato uno di due ettari) stupisce sempre: oggi vedi un iris, domani spunta un tulipano.
E non servono specie raffinate. Quando facevo la guida botanica in tutta Europa e nelle Azzorre portavo le persone a scoprire le piante più semplici, quelle che crescono presto e bene. Se butti in giardino una manciata di semi di Delphinium ajacis, per esempio, crescerà subito come erba. Sino a pochi anni fa le esigenze erano più sofisticate, si cercava la pianta difficile e come ambientarla. Oggi la gente ha paura, e nelle mie conferenze invito a eliminare tutto il negativo cercando la bellezza, e il giardinaggio è la cosa più bella.
Se siete tristi, seminate tagete: li vedrete crescere e penserete così al vostro piccolo angolo. Il mio è ormai un giardino dei pensieri, dove semino le mie riflessioni più belle, e aggiungo le tue, se mi piacciono».
Guido Piacenza
Presidente del Lanificio Fratelli Piacenza e del Parco della Burcina |
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Negli anni Settanta sono stato il primo a portare in Italia dall'Inghilterra i Ceanothus e i cisti che, pur essendo piante mediterranee, qua non erano utilizzate mentre nel Regno Unito erano comuni. Allora eravamo a livello di pino domestico, magnolia, araucaria e poco più. Da allora, con Gardenia all'inizio, e con altre testate di settore poi, si è aperta una curiosità e una ricerca di piante insolite da parte di un pubblico molto più numeroso. In questi anni in Italia è aumentato il rispetto nei confronti della natura anche da parte delle amministrazioni comunali, e poi sono arrivate le mostre: Masino, Orticola, Colorno, la Fiera dei Fiori... La gente acquista tanto, ma a differenza del Nordeuropa, ancora non coltiva: al massimo taglia l'erba del prato, ma il mettersi in ginocchio a piantare quattro Hosta o Heuchera è ancora un fatto sconosciuto. Da qui è nata la celebre frase pronunciata da Ippolito Pizzetti negli anni Settanta: “Gli Italiani sono dendrofobi”. Noi italiani siamo infatti esteti, architetti di manufatti, monumenti, giardini. Acquistiamo la pianta bella, la piantiamo e poi la abbandoniamo andando in vacanza. A sciare d'inverno, al mare d'estate; chi ha il giardino dovrebbe goderselo e non andare in giro».
Gianfranco Paghera
Architetto e fondatore dello Studio Paghera
Quando abbiamo iniziato, nel 1972, il giardino era spesso inteso come uno status symbol da esibire. Oggi è diverso: il giardino è una realizzazione molto personale, viene creato oppure fatto progettare per sé e la propria famiglia, si vuole che sia bello e piacevole da godere, qualcosa che riavvicini lo spirito alla natura.
Ieri si andava in vivaio per scegliere le piante che il giardiniere metteva a dimora: oggi, grazie anche al ruolo giocato in questi venticinque anni da Gardenia, le persone sono informate, sanno che ci si può affidare al progettista o all'architetto del paesaggio, sono consapevoli che una scenografia verde ben equilibrata è un capitale estetico che cresce nel tempo, invece di alterarsi. E che questo risultato richiede precise attenzioni progettuali, realizzative e manutentive. Si sta sviluppando anche una presa di coscienza del ruolo del paesaggio progettato, rispetto al territorio e all'ambiente. I clienti hanno capito che investire nel verde è importante per il proprio benessere e per quello globale. Per questo, progettiamo giardini con “certificato verde”, capaci di produrre un volume più elevato di ossigeno, e composti, oltre che da specie autoctone, nella percentuale maggiore possibile, da piante capaci di tollerare e metabolizzare i metalli pesanti, così come una parte delle polveri sottili. Pochi sanno che 200 metri quadrati ben coltivati producono 400 grammi di ossigeno: il fabbisogno quotidiano di una persona”.
Simonetta Grossi
Responsabile Sviluppo e Comunicazione per Giardinia
Nonostante il contributo dato in 25 anni da una rivista come Gardenia, in generale nel nostro Paese la cultura del verde è ancora ‘acerba‘, si usa ancora il fil di ferro per attaccare il tubo al rubinetto dell'acqua, il rispetto dell'ambiente rimane un valore sentito solo da una minoranza.
Ecco perché il gruppo Giardinia offre nei suoi garden center prodotti selezionati, supporto professionale e una serie di iniziative per fare della natura un valore emozionale che arricchisca la vita quotidiana”.
Paolo Pejrone
Paesaggista e scrittore |
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«Quaranta-trent'anni fa in Italia c'era un gran fermento tra gli appassionati del verde e io ho avuto la gioia di viverlo ed esserne partecipe. Esisteva già, mitico giornale, Il giardino fiorito, ma veniva venduto solo per abbonamento, per cui per sapere qualcosa di nuovo bisognava rivolgersi alle riviste di giardinaggio straniere.
Da allora la cultura del verde è decisamente migliorata, soprattutto grazie alle riviste specializzate nate nel frattempo, che hanno diffuso la conoscenza, e grazie alle mostre-mercato, che hanno creato il contatto diretto fra vivaisti, piante e pubblico, e che oggi vivono una crescita verticale. Quando diciotto anni fa organizzammo Masino, partimmo con 25-30 espositori, ora siamo arrivati a 120, fra i “grandi”, noti a tutti, e i “piccoli”, giovani e innovativi, e ogni anno siamo costretti, per motivi di spazio, a respingerne un'ottantina. Forse non ci sono più gli autorevoli personaggi di una volta — fra vivaisti, paesaggisti, collezionisti, giardinieri — e stiamo attraversando un periodo di pausa, ma si assiste a un aumento continuo dei vivai e a una loro maggiore specializzazione, su cui noi organizzatori di Masino spingiamo molto. E oltre a questo, puntiamo anche sulla qualità della produzione e, perché no?, sulla simpatia, fondamentale per comunicare con la gente, che ha molta voglia di sapere.
Non a caso i libri che parlano di piante e giardini, di ricordi e riflessioni nel verde, e non soltanto di pure tecniche di giardinaggio, in questo periodo si vendono come non mai».
Carlo Pagani
Titolare del vivaio Flora 2000
Come costruttore di giardini so che venti o trent'anni fa la gente non sapeva cosa fosse un border, una bordura. Oggi ne capisce di più. Per esempio, è consapevole della differenza tra i prodotti chimici e quelli naturali e sta imparando a utilizzare questi ultimi quando è possibile, ovvero per concimare e prevenire le malattie crittogamiche. Se ne sono accorte anche le aziende: oggi si trovano in commercio confezioni di cuoio torrefatto da cinque chili, destinate agli appassionati. In questi anni è cambiato il modo di interpretare il giardino: sono tornati il rispetto per il paesaggio circostante, il piacere personale del coltivare, la ricerca delle novità, la riscoperta del collezionismo tematico, la soddisfazione di possedere un albero da frutto d'altri tempi o una rosa antica.
Ultimamente, in particolare, forse perché non si può andare più tanto in giro, la gente si sta dedicando sempre più al giardinaggio e soprattutto all'orto, come vedo dal numero degli iscritti ai miei corsi: oggi tutti vogliono occuparsene, come un tempo delle rose. La novità è che l'orto ha preso piede in città, perché in campagna c'è sempre stato, per cui oggi si scelgono gli ortaggi da coltivare in funzione del loro sviluppo e ingombro rispetto ai metri quadri a disposizione. Le riviste, e Gardenia in particolare, hanno anticipato o addirittura creato tendenze, evidenziato problemi come i recenti cambiamenti climatici, e suggerito come affrontarli.
I giardini nei diversi colori, e quello bianco in particolare, così raffinato, venticinque anni fa in Italia non esistevano, ma potrei parlare anche dei meli da fiore, dei lillà, delle siepi naturalistiche o del giardino d'inverno, tutti temi lanciati proprio da voi. Oggi i clienti arrivano nel nostro garden center con Gardenia sottobraccio, sapendo bene cosa chiedere. E non è un caso se i programmi televisivi dedicati al verde stanno riscuotendo un interesse sempre maggiore”.
Metrosideros excelsa
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Enrico Cappellini
Titolare dei Vivai Cappellini |
In questi anni il verde in Italia è migliorato per alcuni aspetti, peggiorato per altri. Non è più un settore d'élite, il pubblico è molto più interessato, vi sono molti più paesaggisti, così come una marea di specie e varietà che un tempo non si trovavano, come i ciliegi da fiore, le magnolie, le rose antiche e botaniche. Noi siamo vivaisti da quattro generazioni: mio padre mi racconta che una volta solo i più abbienti, potendo viaggiare, si imbattevano in piante nuove e se le portavano a casa, per i loro giardini. Oggi, invece, ogni anno arriva sul mercato qualche novità, anche poco costosa e quindi alla portata di tutti. A questo profondo cambiamento hanno contribuito le mostre-mercato e le riviste di settore, fra cui soprattutto Gardenia, che ha portato una ventata di novità, conquistando anche i giovani: oggi, infatti, accanto ai quarantasessantenni, si incontrano sempre più ragazze e ragazzi di 25-30 anni interessati al verde, alcuni dei quali scelgono questo settore anche come professione. Purtroppo sono la minoranza: i veri giardinieri, quelli insomma che intraprendono questo mestiere per passione, sono soltanto il 10 percento. Per tutti gli altri questo è un lavoro come un altro, spesso intrapreso come ripiego: siamo quindi lontani dalla serietà e dalla professionalità di stati europei come Svizzera e Germania, per fare un esempio”.
Pietro Barni
Titolare dei Vivai Barni
Grazie alle riviste e alle esposizioni di settore, l'interesse dei clienti è cresciuto e si è rivolto alla ricerca di varietà particolari. Negli anni Settanta chiedevano rose per creare un'aiuola rossa o bianca; oggi molti acquirenti arrivano in vivaio con la rivista in mano chiedendo quella cultivar particolare. Di conseguenza, noi ci siamo impegnati maggiormente nella ricerca. Abbiamo puntato sulla resistenza ai nostri climi, selezionando portinnesti adatti alle regioni mediterranee, e su questi, in accordo con i produttori stranieri, innestiamo varietà inglesi, tedesche o francesi, con ottimi risultati”.
Pier Luigi Priola
Titolare dell'Azienda agricola Priola Pier Luigi
Nel vivaismo la produzione è migliorata e si è orientata verso una maggiore diversificazione delle varietà da proporre. Molte specie erano già conosciute, ma la consapevolezza delle numerose possibilità ha stimolato nel pubblico, e quindi anche nei vivaisti, la curiosità per la ricerca e la sperimentazione. Con tutto questo, ancora oggi però il pubblico “compra con gli occhi”, nel senso che viene attratto dalle piante fiorite e ben disposte negli stand. Ma, rispetto a prima, chiede, si informa, vuole provare”.
Francesco e Andrea Mati
Titolari del vivaio Piante Mati
In questi anni ci sono state tre vere e proprie rivoluzioni. La prima è stata l'introduzione delle piante allevate in contenitore. Il sistema, più semplice e meno costoso, consente di coltivare un numero quasi infinito di specie: la pianta in vaso può essere ritirata in serra d'inverno, portata all'aperto d'estate, il pH del terreno può essere modificato a piacimento, l'irrigazione viene regolata in modo preciso. Gli apparati radicali cresciuti in contenitore non subiscono traumi al momento del trapianto e consentono la messa a dimora in tutti i mesi dell'anno, non più solo in autunno. La seconda è una maggiore circolarità delle merci sul territorio europeo e, di conseguenza, un'ampia disponibilità di prodotti sul mercato. La legislazione è più rigida e i controlli frequenti avvengono all'origine, in vivaio. Sono nati i ‘passaporti verdi', che regolamentano la circolazione delle piante e consentono loro di viaggiare. Prima invece le ispezioni venivano eseguite solo alla frontiera, con disastrose quarantene e inutili interventi antiparassitari. La terza rivoluzione è quella tecnologica. Sino a vent'anni fa l'impianto d'irrigazione era pensato solo per il prato, e tutte le altre piante venivano bagnate a mano. Oggi con l'introduzione delle centraline a più vie e con gli impianti a goccia ogni essenza può avere esattamente la quantità d'acqua di cui ha bisogno, senza sprechi. Nel campo dei concimi sono nati i prodotti a lenta cessione, i prodotti biologici sono a disposizione di tutti, i fertilizzanti sono sempre più specifici, alcuni pesticidi meno tossici. Si è compresa l'importanza delle pacciamature, e gli impianti di illuminazione a basso consumo consentono di ottenere scenografie fantastiche per vivere il giardino anche di notte”.
Mario Faro
Titolare dell'azienda Piante Faro |
Venticinque anni fa la produzione era fortemente orientata verso i clienti del Nordeuropa, dove la cultura del verde era molto più avanzata. Non si prestava molta attenzione alle piante mediterranee: i clienti cercavano magnolie, Thuja, Cupressus macrocarpa. Da quindici-vent'anni, invece, seguendo l'esigenza di avere fioriture nuove, colori diversi
e di cambiare la fisionomia dei giardini, diventati tutti uguali, l'Europa e il Nord Italia hanno prestato più attenzione alle essenze tipiche del nostro bacino. Sono state introdotte le palme che resistono al freddo come Chamaerops humilis, Chamaerops excelsa, Trachycarpus fortunei, Butia capitata e Cordyline indivisa, e di conseguenza i giardini si sono “vestiti di mediterraneo”. Il fenomeno è anche legato a un netto processo di meridionalizzazione dei vivaisti: molti sono nati o si sono spostati in questi anni al Sud per risparmiare. Produrre qua è infatti più economico, perché la manodopera costa meno e si utilizza poca energia: in Sicilia, per intendersi, non occorre scaldare o illuminare le serre come sono costretti a fare in Olanda. In parallelo, i produttori hanno iniziato a coltivare essenze tipiche della zona oppure esotiche, come grevillee, callistemon, carisse, spinti dall'aumento e dalla diversificazione della domanda.
I clienti, infatti, incuriositi dai media come i giornali di settore, Gardenia in testa — rivista di riferimento qua in Sicilia —, e Internet, sono diventati molto più sensibili e competenti. Si percepisce una maggiore cura del verde sia da parte del privato sia da parte delle amministrazioni pubbliche: se venticinque anni fa avevamo 50 piante in catalogo, oggi per soddisfare tutti i clienti ne abbiamo quasi 4.000”.
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Anna Peyron
Titolare del vivaio Anna Peyron |
«Gardenia è stata una grande novità nel campo del verde. Finalmente avevamo in Italia una rivista specificatamente indirizzata a chi faceva giardinaggio e, con grande sorpresa, una rivista divulgativa, che insegnava a fare e a conoscere le piante chiamandole con il loro nome e cognome. E se conosci le piante le sai anche coltivare bene e mettere al posto giusto. Gardenia poi si è avvalsa dell'apporto di grandi esperti e studiosi, in grado di divulgare in modo chiaro e semplice e nello stesso tempo serio e competente, perché tutti quanti avevano sperimentato a casa loro ciò che raccontavano. Mi riferisco a Guido Piacenza, Guglielmo Betto, Ippolito Pizzetti... Poi sono arrivate le lettere e le risposte di Bianca Micheletta, grande giardiniera, che ha mantenuto sino alla fine curiosità, lucidità e voglia di trasmettere con entusiasmo quello che sapeva. Certo, gli italiani in molti àmbiti (moda, arredamento, giardinaggio...) si lasciano influenzare dai gusti del personaggio alla moda, non ascoltano il bisogno di esprimersi attraverso il giardino, ma chi ha un piccolo spazio a disposizione, rispetto a chi ha un grande parco, impiega più attenzione e tempo, chiede un rapporto continuativo e importante con il vivaista».
Ermanno Casasco
Paesaggista |
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«Premesso che negli anni Quaranta, i Porcinai padre e figlio erano molto più bravi dei Russell Page, e che i nostri giardini intorno ai laghi realizzati nel pre e dopo guerra non hanno nulla da invidiare a giardini inglesi o francesi, trenta-vent'anni fa in Italia vi era un'ignoranza fortissima per quello che concerneva il giardino. Oggi i clienti sono molto più preparati, il che a volte può essere più dannoso che utile, perché interferiscono con il lavoro del paesaggista, complicandolo. Purtroppo per molti il giardino è diventato una nevrosi su cui scaricare le proprie frustrazioni: è un allestimento, la dimostrazione che ci si può costruire il proprio eden in terra. Siccome però la gente è insoddisfatta, non andrà mai bene abbastanza; lo vuole subito, già sviluppato, sempreverde e fiorito tutto l'anno, perché, cancellando il succedersi delle stagioni, si ferma il tempo in una primavera continua, come in un'eterna giovinezza. Ci sono persone più evolute, abituate a viaggiare, che hanno capito e chiedono il giardino rilassato, naturale. Il mio lavoro per loro consiste soprattutto nella ricostruzione del paesaggio circostante, distrutto dal nostro bisogno di vivere comodo: dopo gli scavi per luce, acqua, piscina, è necessario coprire le ferite e ricostruire con quel tocco di giardino che rivela la presenza dell'uomo».
Natale Torre
Titolare dei vivai Torre
Dagli anni Ottanta la situazione qui in Sicilia è molto cambiata. In particolare nella mia zona intorno a Messina la concorrenza dei Paesi in via di sviluppo ha messo in ginocchio i nostri tre settori agricoli di punta, ovvero il vivaismo agrumicolo, olivicolo e viticolo. I coltivatori si sono così dovuti trasformare, mettendosi a produrre agrumi e olivi ornamentali, alberi e arbusti al posto delle viti. In particolare, nei nostri giardini, aumentati di numero grazie allo sviluppo del turismo, si sono diffuse le specie subtropicali australiane come per esempio Metrosideros excelsa”.
Benvenuti sotto il gazebo
Quello di Gardenia. Presente come di consueto a Orticola, mostra-mercato milanese di piante e fiori |
Qui a sinistra: il grembiule
che indosseranno gli espositori.
Sotto: cesto di ortaggi.
A destra: un sontuoso mazzo
di rose Inglesi.
Dall'8 al 10 maggio a Milano, nei giardini pubblici “Indro Montanelli” di via Palestro, si svolge la 14ª edizione di Orticola, mostra-mercato di giardinaggio tra le più importanti d'Italia. I 170 espositori presentano piante di ogni genere, oltre a un'accurata selezione di arredi da giardino.
Tra le novità, l'allestimento di cinque giardini progettati dai vincitori del concorso “Il giardino con due soldi”; la dimostrazione, presso lo stand del vivaio La Casina di Lorenzo, di come si riproducono le Dicksonia tramite spore; la possibilità di acquistare gli “orti-trasporto”, cestini in vimini contenenti sei-sette piantine per chi vuole allestire un piccolo orto sul terrazzo. Tutti gli espositori, inoltre, indosseranno un grembiulone verde che la Henry Cotton's, da quest'anno partner ufficiale di Orticola, ha creato appositamente per la manifestazione. Nello stand di Gardenia, oltre all'imperdibile incontro con il nostro maestro giardiniere Carlo Pagani, vengono presentate le rose Inglesi recise di David Austin, con le quali verranno preparati originali bouquet.
Info: tel. 02 77096544, www.orticola.org |