IL PRATO DIPINTO
di Annamaria Mitri

 

Non c’è dubbio che la passione per le piante, i fiori e la loro coltivazione trova la sua radice in esperienze legate all’infanzia. Chiunque provi a ripensare al come e perché si trova invischiato in questa passione, finisce col ripercorrere all’indietro i suoi anni fino ad arrivare a quelli infantili, quando qualcuno vicino a lui dedicava tempo ed energie chino su vasi e vasetti o inginocchiato tra aiuole e aiuolette. E che si tratti di una passione non v’è dubbio: che altro nome dare a ciò che spinge una vecchia donna a levarsi dal letto durante la notte quando si sente il fischio del vento attorno alla casa e a correre fuori nel buio giardino per cercare al fioco lume di una torcia la plumbago sbattuta in terra dalle raffiche per raccoglierla e metterla amorevolmente al riparo fino a che non passi la buriana? Oppure al profondo senso di pace che sempre quella vecchia donna prova quando da dietro i vetri delle finestre guarda la pioggia benefica che dopo giorni di siccità scende a bagnare le ortensie, le fucsie e le cento piantine sparpagliate nelle aiuole; e non dà alcun seguito ai brontolamenti di chi rientra bagnato e infangato, perchè tanto lei è immersa nella sua beatitudine?

Ecco proprio alla nonna stava pensando Vanina. Nella sua nuova casa, accoccolata sul bel divano firmato Kreuter, stava contemplando la parete di fronte del soggiorno, sulla quale era rappresentato un prato sapientemente dipinto. Un’ immagine così faceva appunto venire in mente fiori ed erbe conosciuti in altri anni, quando lei viveva in una casa di campagna circondata da un piccolo giardino vicino ad un bosco di querce. E le venivano in mente la nonna e tutti i discorsi che allora si tenevano in casa. Lei non ci aveva fatto caso, ma in realtà di piante, di verde, di come si coltiva l’orto, il giardino, i campi, in famiglia si parlava sempre. Ricordava che lei all’epoca ne era un tantino seccata, perché le toccava dare una mano e, siccome era giovane e forte, erano sempre lavori un po’ pesanti quelli che le venivano richiesti. Portare su dal pozzo gli annaffiatoi pieni d’acqua, oppure scavare le buche profonde per le rose. Non ricordava inoltre con piacere i discorsi della gente che si occupava di verde. Intanto ciascuno riteneva di essere il più bravo e parlava con malcelato disprezzo degli altri. "Ma vedi", diceva ad esempio la Rosa alla nonna, "quella ti chiede sempre di dargli le cime di questo e di quello, e poi ‘ste cime le mette in vasetti sul suo balcone, dove picchia il sole e la cima si secca e muore". "Sì," incalzava l’altra, "e magari pensa che tu le abbia dato una cima scadente. Altro che! Una come lei dovrebbe comprarsi le piante all’agraria e non pretendere di farsi le piante da sola! Si vede proprio che non capisce niente!"

Questi discorsi parevano a Vanina assai malevoli. No, non erano delle persone simpatiche. A lei sembrava che tutta ‘sta mania per le piante non avesse niente a che fare con l’estatica meraviglia che provava quando le capitava di passare per il bosco di querce. Lì i grandi alberi dimostravano come si possa crescere liberi: ciascuno cercava il suo spazio piegando dolcemente i rami per assecondare la crescita del vicino ed attendeva tranquillo la pioggia ed il sole che gli erano riservati dal normale volgere delle stagioni... Per Vanina questo era il "verde", queste erano le piante da amare. Sì, ritornava dalle passeggiate nel bosco di querce veramente rasserenata.

Così quando Amore le propose di andare a vivere in una città, lei pensò che avrebbe soprattutto rimpianto quel bosco di querce percorso dai tanti sentierini che si perdevano tra i cespugli di cisti e le more di rovo. Amore le aveva proposto di andare ad abitare in una città piena di traffico e cemento e di prendere un appartamento in un grande condominio con delle finestre che davano su altre finestre, dove il balcone era minimo e senza luce. Lei non aveva fatto alcuna obiezione. Aveva deciso che vivere nel bosco di querce era impossibile e che il giardino non faceva per lei. Passò quindi piacevoli giorni ad arredare l’appartamento. Amore aveva un sacco di amici architetti che davano consigli, portavano disegni, dicevano che l’appartamento era molto interessante e stimolante. Infatti Vanina assisté con grande meraviglia alla trasformazione del tutto. Lampade con forme suggestive vennero sistemate un po’ dappertutto, divani e divanetti con allegri cuscini invitavano al relax, su mensole dal disegno fantasioso furono posti libri, vasi e oggetti che lei personalmente segnalò come desiderata. Inspiegabilmente lei desiderò mettere tra le altre cose anche il vecchio annaffiatoio di zinco che la nonna usava per i vasi di geranio e tutti approvarono la sua scelta che dava un tocco particolare, "vero". Le piacque anche molto una specie di fontanella che zampillava in mezzo al tavolino del salotto; prendeva un aspetto diverso a seconda delle ore della giornata e delle luci che l’attraversavano. Il suo chiocciolìo faceva molto "atmosfera"... e casomai uno se ne stufasse bastava fermare la pompa nascosta tra finti sassi e la fontanina taceva. Poi naturalmente c’era la cucina magnificamente attrezzata, per cui uno poteva star lì a spignattare tutto il giorno e scopriva ad ogni mossa nuove possibilità. Il balcone, troppo piccolo per metterci anche una sola poltrona, venne graziosamente arredato con pensili e un piccola cassa in cui riporre cose. Vi misero anche qualche pianta che però o non sopportava il freddo o voleva più luce o non le piaceva il posto, visse poco e male. Ma questo non diede alcun dispiacere a Vanina. Quando rientrava dal lavoro il pomeriggio e Amore non era ancora arrivato, metteva la casa in ordine, leggeva qualche libro, ascoltava nelle cuffie un po’ di musica ed era contenta così.

Di solito, mentre stava seduta sul divano, alzava gli occhi e osservava la parete di fronte che era grigia, attraversata solo da una decorazione applicata, nera e rossa, e rifletteva. Un giorno le accadde una cosa strana: ebbe la sensazione di veder su quella parete fluttuare come sotto una brezza delle alte erbe. Un altro giorno le parve di riconoscere delle grandi piante di ortensia con dei fiori prima rossi, poi rosa, poi azzurri. Un altro ancora scorse un grosso seme aprirsi la strada in una zolla di terra scura, buttare fuori due foglioline e poi trasformarsi in una pianta che non finiva di crescere. Si rendeva conto che erano visioni, ma non poté fare a meno di parlarne ad Amore.

" Ah, – disse lui - deve trattarsi di nostalgia. Tu anche se non ci pensi, né vuoi parlarne, hai in mente la campagna della tua vecchia casa e hai voglia di vedertela attorno. Che possiamo fare perchè tu stia bene?"
"In questa casa c’è troppo poca luce e le piante non resisterebbero ... ci ho già pensato."
" Ma tu desideri avere piante in giro?"
"Forse sì... non saprei cosa altro volere... Il bosco di querce è tanto lontano..."

Amore allora le propose una soluzione: una sua amica era un’ottima pittrice ed era specializzata in disegnare e dipingere fiori e piante. Lei avrebbe potuto dipingere su quella parete, sulla quale Vanina vedeva le sue allucinazioni, una bella scena campestre.
Così fu. L’amica venne, tolse la decorazione precedente e nel giro di pochi giorni disegnò su quella stessa parete un delizioso prato: sembrava di poter sfiorare l’erba dipinta filo per filo, qui verde smeraldo, lì un po’ gialla, altrove impreziosita da morbide spighe... C’erano anche i fiori: papaveri, fiordalisi, margherite bianche e gialle sbucavano qua e là... E c’erano farfalle e insetti che sembravano vivi sullo sfondo della parete trasformato in un cielo percorso da nuvole. Vanina poteva ora sedere sul divano e contemplando quel quadro sentirsi molto rasserenata.

Tuttavia qualche tempo dopo l’incanto cessò. Un giorno, rientrando da una giornata particolarmente faticosa, si sedette sul divano; sperava di potersi rilassare. Contemplò il quadro sulla parete e chiuse gli occhi. Sentì allora uno scricchiolio strano, come se qualcosa si stesse crepando. Aperse gli occhi e non vide nulla, ma continuò a sentire lo strano rumore. Infilò le cuffie e si mise ad ascoltare musica per non pensarci più. Venne a casa Amore e Vanina tolte le cuffie, risentì gli strani scricchiolii. Non disse nulla, ma spiò a lungo la faccia di lui e vide bene che lui non dava segno di avvedersi di nulla di particolare. Sperò disperatamente che si trattasse di un episodio, ma il giorno dopo dal quadro sulla parete continuarono ad uscire dei crepitii inquietanti. Attese invano che Amore o altri che venivano in casa li sentissero. Tutti apprezzavano l’affresco e poi si rivolgevano a lei: "Bello vero? Adesso sì che sei tranquilla. E’ come se tu fossi ancora in campagna." Ma lei tranquilla non era affatto e finì che dovette raccontare ad Amore quanto la tormentava.

Amore disse naturalmente che non sentiva nulla, andò vicino al dipinto, ci passò sopra le mani e disse che la parete era perfetta. Il giorno dopo venne l’amica che, tanto per fare qualcosa, ripassò con i pennelli un po’ qua un po’ là. Vanina, rimestando tra le pentole in cucina, li sentì ridere e non ebbe dubbi che ridessero di lei. Andò a finire che Vanina dovette tornare a casa sua in campagna, e a dire il vero stette subito bene. Piangeva, perchè Amore non stava più con lei, ma quanto la circondava le era di grande consolazione. C’erano la zia e le amiche del vicinato che le facevano una compagnia discreta. Poteva andare nel bosco di querce quanto voleva e accarezzare i vecchi tronchi contorti. Poi rientrava e passava per il giardino. Inizialmente, lì, nemmeno si fermava. Senza guardarsi attorno, sapeva che il giardino della nonna colorato dai tanti fiori, con le aiuole ben curate e prive di erbacce, praticamente non c’era più. Imperavano vitalbe e rovi. Da quell’intrico usciva la magnolia dai fiori a tulipano in primavera e si notava qualche spinoso ramo di rose che tentava di fiorire. Nel periodo in cui Vanina arrivò, per tutto il giardino si arrampicavano o si allungavano sul terreno delle campanelle di un tenero colore rosa. A Vanina piacevano assai e si soffermava a guardarle, Vide come si avvitavano sulle rose e su altre piante che non conosceva. Gli steli delle piante venivano stretti tra loro, soffocati...

"Gli strangolatori! Gli strangolatori tanto odiati dalla nonna!" Si trattava infatti dei vilucchioni, che la nonna chiamava strangolatori. Vanina ricordò i brontolamenti della nonna: "Se trovo quello che mi ha fatto entrare in giardino gli strangolatori, guai a lui!", come se qualche vicino di notte fosse entrato per cacciare in terra le lunghe radici dei convolvoli. Erano le solite manie delle donne del verde, che vedevano nemici dappertutto... Tuttavia non potè fare a meno di avvicinarsi e con pazienza cominciò a svolgere i vilucchioni dalle rose. Si punse, entrò in casa a prendere un vecchio paio di guanti e riprese il suo lavoro. Mentre lo faceva, le venne naturale di togliere le erbacce in giro e pian piano la rosa distese le sue braccia con aria di sollievo. Il mattino dopo contemplò il suo lavoro e le parve ben fatto. Per i graziosi convolvoli fu la fine e per Vanina cominciò l’iniziazione all’arte del giardinaggio.

Si accorse che nel suo lavoro imitava senza volerlo i gesti della nonna: si chinava tra le erbacce con un ginocchio a terra e l’altro rialzato e con la mano destra strappava le stellarie, le veroniche, la portulaca. Tagliò i rovi, i cespugli inselvatichiti... Pian piano il giardino prese un aspetto piacevole e soprattutto lei sentiva l’importanza delle sue cure. La sera grattava le mani sporche di terra con una spazzola, riponeva gli attrezzi (proprio come facevano la nonna e le altre pettegole del verde) e andava a letto stanca per addormentarsi subito. Accadde che alcune volte le apparisse in sogno il dipinto della stanza in città e così riprovasse il dolore perchè Amore non stava più con lei. Ma il mattino dopo riprendeva il suo lavoro e pensava a come avrebbe potuto fare lì, vivo e vero, un prato simile a quello del dipinto e ne parlava con la zia e le amiche. quando si scambiavano consigli sul “verde”. Non si vedeva come una delle pettegole che aveva tanto poco apprezzato da ragazza; provava invece una grande gioia nel chiacchierare del giardino, di alcune piante particolari, dei vivai che le vendevano e soprattutto delle cure per farle crescere belle e sane.
Un giorno le raccontarono che nel bosco di querce, quel bosco che tutte amavano molto, si era insediato un bruco che lo stava crudelmente divorando. I rami apparivano tutti pelati, senza foglie e passando vicino al bosco si sentiva il rodìo di quelle bestiacce. Se si andava vicino si vedevano dei lunghi bruchi verde-gialli, tutti arrotolati ed intenti al loro crudele lavoro. Vanina rabbrividì. Se quelli arrivavano al suo giardino che fare? Andarono ad informarsi nell’agraria del paese. Il padrone raccontò che già anni fa era avvenuta un’invasione analoga. Non si ricordava il nome esatto dell’animale, era comunque qualcosa di simile alla processionaria. “Non preoccupatevi, – disse - come viene va, e le piante si riprendono.” Dette loro una bottiglia con un liquido e le istruzioni per come usarlo nel caso si fossero accorte che i bruchi erano arrivati nel loro giardino.
Quella sera Vanina sedeva nel portico davanti casa e ad un tratto sentì quel leggero rumore proprio delle mandibole dei bruchi. Terrorizzata entrò in casa e preparò subito l’intruglio contro le bestiacce. Quel rumore continuo, strano, immotivato le faceva riprovare l’inquietudine di quando stava sul divano laggiù e dalla parete uscivano gli scricchiolii che solo lei sentiva. Le sue allucinazioni l’avevano seguita fino là? Ebbe molta paura, ma irrorò per bene le piante vicine all’orlo del giardino. Durante la notte stette a sentire ed il rumore ad una tratto si fece sempre più fievole fino a che sparì. Il giorno dopo ne parlò con la zia e le amiche e quelle vennero a scoprire i bruchi intontiti caduti dalla robinia cresciuta accanto al muro di recinzione. Si sentiva ancora il cattivo odore dell’intruglio dell’agraria. Aveva fatto il suo effetto, ma che desolazione tutti quei bruchi uccisi sul terreno! Vanina decise di fare come le era stato suggerito: tagliare i rami già toccati dagli animali e aspettare che concludessero il loro ciclo.
Dopo due giorni cessò il rosicchio. Dopo un mese le querce avevano ributtato fuori tenere foglioline. Stavolta non era necessario andar via.